Operazione “Cemento del Golfo”, in manette anche imprenditore alcamese che denunciò il racket

0
613

 

L’imposizione delle forniture di cemento una delle importanti entrate finanziarie della mafia. A tagliare questi rifornimenti ci hanno pensato i carabinieri della compagnia di Alcamo e Castellammare e Trapani, che la scorsa notte hanno arrestato cinque imprenditori durante l’operazione “Cemento del Golfo”.  A finire in manette anche un imprenditore alcamese Vincenzo Artale, il cui arresto non ha mancato di suscitare un certo scalpore. Da anni è uno dei più attivi all’interno dell’Associazione antiracket e antiusura, che lo ha assistito durante varie vicende. L’Associazione antiracket oggi deciderà la sua espulsione e i componenti del direttivo non nascondono tanta amarezza. Vincenzo Artale alcuni anni fa era proprietario di due betoniere che vennero incendiate. Così come subì un attentato incendiario nel negozio per la vendita di prodotti di profumeria che la moglie gestiva nella via Barone di San Giuseppe. Fu lo stesso Artale a denunciare le vessazioni e minacce della mafia, che intendeva agire in regime di monopolio per la commercializzazione del cemento, dando il via libera all’operazione “Cemento libero” che portò in carcere Popò Pirrone e componenti della famiglia Melodia, che vennero tutti condannati. Vincenzo Artale venne risarcito dallo Stato, come vittima della mafia, e con la somma incassata avrebbe dovuto realizzare un padiglione industriale in contrada Sasi. Il suo arresto ha lasciato sorpresi gli stessi componenti dell’Associazione antiracket e antiusura che manifestano “piena fiducia nella magistratura”. L’Associazione antiracket alcamese si è ricostituita da pochi mesi ed ha avuto assegnato un bene confiscato nella via XI Febbraio, già sede della stessa. L’operazione “Cemento del Golfo” rappresenta l’ennesima conferma dell’attenzione di cosa nostra nella commercializzazione del cemento in regime di monopolio. E la storia è ricca di tali episodi. Negli anni ’90 un gruppo di imprenditori alcamesi fondò l’azienda Incal, con sede nella via Spirito Santo, ma fu costretta a chiudere per una serie di attentati e minacce della mafia. Così la “Tre Noci”, dietro la quale c’era il gruppo mafioso legato a Vincenzo Milazzo, ha potuto agire, per diversi anni, in regime di assoluto monopolio sia nelle forniture pubbliche che private del cemento. La “Tre Noci” venne confiscata nel 1994 e fallì durante l’amministrazione giudiziaria tanto che fu costretta a chiudere e i suoi impiegati e operai tutti licenziati. Le indagini dell’operazione “Cemento del Golfo”, iniziarono alla fine del 2010 a seguito di alcuni attentati avvenuti a Castellammare. Furono avviate dal capitano Augusto Ruggeri, portate, per buona parte,  avanti dall’allora tenente Danilo Ferella, oggi capitano, entrambi allora in servizio presso la compagnia di Alcamo. Le indagini si sono concluse nell’estate del 2014, sotto la direzione del capitano Savino Capodivento. Pedinamenti, intercettazioni e approfondimenti delle denunce di imprenditori hanno caratterizzato le investigazioni. Secondo i carabinieri gli arrestati erano al servizio di Matteo Messina Denaro.