Arriva a sentenza il processo, celebrato col rito ordinario al Tribunale di Trapani, che vede imputati due alcamesi: una donna e il titolare di una struttura ricettiva imputati a vario titolo di reati inerenti lo sfruttamento della prostituzione. La sentenza è prevista per venerdì prossimo dopo le arringhe degli avvocati Maurizio Lo Presti e Vito Galbo. Il pubblico ministero ha chiesto la condanna a sei anni e mezzo per la donna e tre per il titolare di una struttura ricettiva. La donna, una casalinga alcamese, difesa dall’avvocato Maurizio Lo Presti, è imputata dei reati di induzione, favoreggiamento e sfruttamento della prostituzione. Il titolare della struttura ricettiva, assistito dall’avvocato Vito Galbo, dove si sarebbero consumati rapporti sessuali, deve rispondere di favoreggiamento della prostituzione.
Le indagini, condotte dai carabinieri di Castellammare scattarono nel mese di agosto del 2018 dopo che una giovane donna, abitante nella cittadina del Golfo, consegnò ai militari la registrazione di due conversazioni durante le quali la casalinga alcamese l’avrebbe invitata a rendersi disponibile per rapporti sessuali a pagamento allo scopo di potere condurre un migliore tenore di vita. L’avvocato Lo Presti ha contestato la fedeltà dei contenuti delle due registrazioni, fatte in un bar di Alcamo Marina, ma il gip decise il rinvio a giudizio. Le indagini partirono dopo la denuncia presentata dalla giovane di Castellammare. Indagini portate avanti soprattutto con intercettazioni telefoniche e ambientali. Una cimice venne anche piazzata anche nell’auto della casalinga alcamese. Sarebbero state coinvolte anche altre donne due donne. I rapporti sessuali si sarebbero consumati anche all’interno di auto. Prestazioni il cui costo avrebbe superato le 250 euro più il pagamento per l’ospitalità offerta nella struttura ricettiva. Sono stati una quarantina i testimoni, venti di Alcamo. Si tratta prevalentemente di professionisti e benestanti, che venivano anche da Palermo, Menfi, Calatafimi-Segesta e dall’Agrigentino. Non hanno commesso reati, ma sono stati chiamati a testimoniare per fare piena luce sull’indagine.