Morto il boss stragista. Più di 100 omicidi e solo otto mesi di carcere

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Trent’anni da fantasma ma con una presenza forte in quasi tutti gli affari di Cosa Nostra. Senza mai farsi prendere era riuscito anche ad orchestrare le grandi strage, quelle che hanno contraddistinto uno dei periodi più pesanti per l’Italia, quello dei primi anni ’90. Tre decenni di coperture, fiancheggiatori e favoreggiatori fino al 16 gennaio del 2023 quando il superbo castelvetranese venne catturato. Matteo Messina Denaro, l’ultimo capo stragista della mafia, è morto alle 5 circa di questa mattina nel reparto detenuti dell’ospedale San Salvatore a L’Aquila. In coma irreversibile da tre giorni, si è spento all’età di 62 anni. Capo-innovatore di Cosa Nostra, amante del lusso e delle belle donne, killer spietato. magro (per questo era detto ‘U Siccu’ e fortemente miope. Nato nel 1962 Matteo Messina Denaro seguì fin da subito le orme del padre Francesco, grande capo del mandamento mafioso di Castelvetrano. Varie amicizie lo portarono a diventare un pupillo di Totò Riina e sotto la sua guida e quella di Bernardo Provenzano programmò, assieme a Vincenzo Sinacori e Giuseppe Graviano, l’esecuzione dei magistrati Falcone e Borsellino. Nel 1993, l’arresto di Totò Riina gli spianò la strada per prendere il comando dell’organizzazione. Astuto ma anche feroce tanto da perdere il conto degli omicidi: “Con le persone che ho ammazzato – disse una volta – potrei fare un cimitero”. Ha orchestrato non soltanto le stragi  ma anche gli omicidi, senza pietà alcuna, del piccolo Giuseppe Di Matteo, disciolto nell’acido, e della castellammarese Antonella Bonomo, incinta di tre mesi, fidanzata del capomafia di Alcamo, Vincenzo Milazzo, anche quest’ultimo ucciso. MMD subì il primo di sette ergastoli, tutti in contumacia, come mandante dell’omicidio di Giuseppe Montalto, agente di polizia penitenziaria in servizio all’Ucciardone  e ucciso a Trapani nel 1995.  Le altre pene a vita per  per gli attentati dinamitardi del 1993 a Firenze, Milano e Roma; per la maxi-operazione “Omega”; per un centinaio di omicidi avvenuti nei primi anni ’90 durante la faida mafiosa di Alcamo; per il sequestro e l’omicidio del piccolo Giuseppe Di Matteo; per le stragi di Capaci e di via D’Amelio. Una vita di crimini, potere e lusso. Soltanto otto mesi di carcere quando oramai la sua vita era segnata dalla malattia.