Mafia-Dia, mandamento Alcamo retto ancora dai vecchi patriarchi

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Resta ancora forte e ben radicato il mandamento mafioso di Alcamo. Anzi, si è rafforzato riuscendo a raggruppare su sé stesso l’unità di ben 3 famiglie: oltre quella alcamese anche Castellammare del Golfo e Calatafimi. Lo attesta la Dia di Trapani, la direzione investigativa antimafia, che nella sua relazione sull’attività svolta e sui risultati conseguiti nel primo semestre dello scorso anno evidenzia come questo “triangolo” pericoloso si sia rinsaldato nel territorio. Alcamo resta infatti uno dei quattro mandamenti operanti nella provincia trapanese, insieme a quelli di Trapani, Mazara del Vallo e Castelvetrano. La relazione è stata presentata al ministro dell’Interno Angelino Alfano e trasmessa alla Camera dei deputati in questi giorni. Proprio Alcamo resta uno dei territori oltretutto più caldi e lo confermerebbe una delle uniche due operazioni messe a segno dalla Dia nei primi sei mesi dello scorso anno. Il 2 gennaio è stato infatti eseguito un provvedimento restrittivo nei confronti di un imprenditore di Alcamo, di cui non si riporta il nome, affiliato alla locale cosca mafiosa e già definitivamente condannato al 416 bis, quindi associazione mafiosa, e oltretutto destinatario di una misura di prevenzione di sequestro dei beni. Operazione che metterebbe in risalto come il mandamento alcamese sia perfettamente in linea con la strategia mafiosa dell’ultimo decennio, quella cioè di lavorare sotto traccia mescolandosi tra i cosiddetti “colletti bianchi”, occupandosi più di affari economici che altro. Questo imprenditore avrebbe infatti distratto ingenti somme in paesi del medio oriente con cessione fittizia a terzi di numerosi beni strumentali, risultati, invece, nella piena disponibilità dell’imprenditore mafioso che, in Oman, con la complicità di un architetto alcamese, aveva avviato una parallela attività commerciale. “Il modello verticistico-piramidale – ha sottolineato nella sua relazione la Dia di Trapani – consente l’imposizione di strategie unitarie, comunque protese a coprire e sostenere la latitanza di Matteo Messina Denaro, ritenuto punto di riferimento del sistema criminale non solo provinciale. Tale unitarietà di azione è rilevabile anche in campo economico con una spiccata ingerenza in vari settori dell’imprenditoria”. Per l’appunto si presume anche in quella del mandamento alcamese. Oltretutto le famiglie di Alcamo, Castellammare e Calatafimi sarebbero rette ancora dai vecchi patriarchi, quindi non ci sarebbe stato alcun ricambio generazionale nonostante gli arresti dell’ultimo ventennio che hanno falcidiato la cosca: “La guida dei mandamenti – aggiunge la Direzione investigativa – risulterebbe saldamente nelle mani dei vecchi esponenti detenuti o latitanti, mentre più fluide risultano le altre posizioni di comando, anche per effetto di arresti da parte delle forze di polizia”. Preoccupante il quadro complessivo che ne esce fuori anche per ciò che concerne il tessuto economico-imprenditoriale: la Dia sostiene che esiste ancora una forte pressione mafiosa, attraverso atti intimidatori e danneggiamenti che hanno colpito commercianti e imprenditori. Il che si traduce anche in una sistematica azione estorsiva: “E’ ancora da ritenersi – si apprende sempre dalla relazione – un importante canale di approvvigionamento di denaro, utilizzato anche per il mantenimento dei detenuti e delle rispettive famiglie”. Pochissime le denunce, segno che la stragrande maggioranza degli operatori continua a pagare il pizzo.