La Direzione investigativa antimafia di Trapani ha confiscato beni per oltre 45 milioni di euro a due imprenditori Castellammare del Golfo, Mariano Saracino, 65 anni, e Giuseppe Pisciotta, 69 anni, soci nella gestione di imprese edili, sia di costruzioni sia di produzione e commercio di conglomerati cementizi. Pisciotta è ritenuto prestanome di fatto di Saracino, secondo gli inquirenti “a disposizione” della famiglia mafiosa di Castellammare del Golfo, ma anche dei clan dell’area palermitana. Saracino, accusato di avere messo a disposizione i propri immobili per nascondigli di latitanti e per riunioni di mafia, in passato è stato più volte condannato, con sentenze passate in giudicato, per associazione mafiosa, estorsione e altri reati. Il provvedimento di confisca ha interessato ditte individuali e società di capitali, appezzamenti di terreno, fabbricati, veicoli industriali, autovetture e disponibilità finanziarie.
Per entrambi anche la misura cautelare della sorveglianza speciale con obbligo di soggiorno. L’operazione si inquadra nella più ampia strategia di aggressione alle disponibilità economiche delle organizzazioni criminali, riconducibili alla consorteria mafiosa trapanese, al cui vertice c’è il noto latitante Matteo Messina Denaro.
La Dia, in una nota, parla di “un imprenditore che ha svolto la sua attività imprenditoriale sfruttando in ogni modo le potenzialità del metodo mafioso, anche attraverso l’illecita ingerenza nel settore degli appalti pubblici. La sua partecipazione al sodalizio mafioso. operante nel mandamento alcamese, può farsi risalire in epoca precedente alla ‘‘‘‘‘‘‘‘strage di Pizzolungo’ (2 aprile 1985) ed è continuata, ininterrottamente, anche dopo una sua prima sentenza di condanna per associazione mafiosa, intervenuta nel luglio del 2000”.
La Dia sottolinea che: “Oltre a far parte di quella schiera d’imprenditori che, grazie ai favori di cosa nostra, ha potuto, nel tempo, espandere in modo esponenziale la sua attività imprenditoriale, economica e patrimoniale, Saracino si è anche adoperato in prima persona per agevolare e favorire le attività illecite poste in essere da detto sodalizio criminale, segnatamente quelle di natura estorsiva. In tale veste, ponendosi a completa ‘‘‘‘‘‘‘‘disposizione’ dell’organizzazione, oltre a provvedere alle necessità economiche della stessa, si è più volte adoperato per fornire rifugio e assistenza a numerosi latitanti, ponendo a disposizione di diversi uomini d’onore delle famiglie di Alcamo, Castellammare del Golfo e Calatafimi, ma anche dell’area palermitana, propri immobili, da destinare a nascondigli per noti latitanti come Giovanni Brusca, Vincenzo Milazzo e Nicolò Scandariato, nonché come luoghi di riunione per incontri riservati”.
“Il ruolo di Saracino, quale imprenditore legato a cosa nostra, – riferisce la Dia – trova ulteriore riscontro nella sentenza della Corte d’Appello di Palermo, del 2 maggio 2008, divenuta irrevocabile il 25 febbraio 2009, con la quale lo stesso è stato condannato a 10 anni di reclusione per associazione per delinquere di tipo mafioso, estorsione ed altro. Giuseppe Pisciotta, assai noto nella provincia di Trapani, secondo gli investigatori risulta legato indissolubilmente alla figura di Mariano Saracino, sin dagli anni settanta, quando ne divenne socio fedele in tutte le attività d’impresa da questi avviate e gestite”.
A Pisciotta viene contestato, in particolare, di aver acquistato, attraverso la società “Calcestruzzi del Golfo srl”, su espressa decisione dei vertici della locale consorteria mafiosa, un opificio per il deposito di prodotti cerealicoli destinato ad essere rivenduto ad un prezzo superiore a quello di acquisto, grazie all’intervento diretto di cosa nostra, cui sarebbe stata destinata la somma derivante dalle plusvalenze dell’operazione immobiliare. Ancora, a Pisciotta viene contestato di aver ricevuto, insieme a Saracino, proventi illeciti derivanti dalla cessione di una società, dagli stessi occultamente gestita, beneficiaria di finanziamenti comunitari.