I veleni della mafia

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Il pentito Angelo Fontana che ritratta le dichiarazioni sul fallito attentato all’Addaura a Giovanni Falcone che era in presenza del giudice svizzero Da Ponte facendo sapere che si sarebbe inventato tutto, l’altro pentito Franco Di Carlo che fa sapere che alcuni esponenti dei Servizi gli proposero l’accordo di fermare in un modo o nell’altro lo stesso Falcone, Vincenzo Scarantino che dichiarta che uomini della Polizia e dello Stato lo obbligarono a inventarsi una verità falsa e studiata a tavolino dove si autoaccusava della strage di via D’Amelio dove morirono Paolo Borsellino e la sua scorta, Ciancimino per che lungo tempo ha parlato di un papello presentato da Riina allo Stato e cardine di tutto era un misterioso personaggio, il famigerato signor Franco mai individuato, Riina intercettato e filmato in carcere che parla con un altro criminale.  Tutto attraverso interviste rilasciate a giornali, televisioni, la stampa insomma, e non ai magistrati e agli inquirenti.

In attesa del processo madre sulla trattativa presunta tra Stato e Mafia arrivano le dichiarazioni in classico stile siciliano, veleni e ritrattazioni, accuse e reticenze, sul periodo delle stragi del ’92 e del ’93 e di prima e dopo.

Scarantino però non dice chi era l’uomo che lo avrebbe minacciato per obbligarlo a mentire, Ciancimino non dice chi era il signor Franco, Di Carlo non dice chi era l’uomo dei Servizi che gli propose l’accordo per fermare Falcone, Fontana non diceva che era sottoposto alla firma a New York in semilibertà e per di più nessuno in Italia se ne sarebbe accorto.

Tutte non verità rivelate, anzi mezze verità, falsità, ritrattazioni, offuscamento della verità nel più classico modo che Cosa Nostra effettua quando ci sono indagini pesanti. Il dire e non dire, l’annuire e il gettare sospetti, lo smentire e l’accusare senza nomi. Tipico di un comportamento che non potrà che portare che a una confusione totale alla fine sulla ricerca della verità.

Forse l’unica verità è che per anni l’interesse è stato coprire i veri mandanti, esecutori e motivazioni delle stragi mischiandola a questioni di Sicilia ma in un periodo di decisioni epocali che il mondo finanziario e bancario avrebbe preso a breve, dall’introduzione della globalizzazione alla circolazione delle monete e delle persone da terzo, quarto mondo e dai paesi dell’est dopo la caduta del muro ma sopratutto alla preparazione del più grande disastro economico, finanziario e sociale, oltre che politico, che si sta consumendo sulla pelle dei cittadini, l’introduzione della moneta unica, l’Euro.

Pensare che le stragi furono pensate anche da altri ambienti e non solo da Cosa Nostra ormai sembra l’unica certezza che emerge da questi ventidue anni di indagini, processi, arresti, dichiarazioni. Il vero nocciolo della questione è stato il mondo economico dunque, quello finanziario, i traffici di valuta e di moneta. Tutti i giudici caduti sotto il fuoco della mafia indagavano sui traffici bancari e finanziari di Cosa Nostra, da Scaglione a Rocco Chinnici, da Ciaccio Montalto a Livatino, da Saetta a Falcone e Borsellino e a Carlo Palermo, uno dei pochi che scamparono all’attentato e stavolta ci persero la vita una mamma con due bambini a Pizzolungo a Trapani.

Le indagini pericolose non si svolgevano dunque indagando su contadini, caprai e pecorai della manovalanza come spesso per vent’anni si è voluto far credere ma sui passaggi bancari, sui risvolti oscuri delle massonerie e delle banche internazionali per i traffici di droga, di armi e di materiale radioattivo e sui legami tra faccendieri, banchieri e politica con Cosa Nostra in mezzo così come le altre organizzazioni criminali del mondo.

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