Edilizia, persi 5000 posti di lavoro per inadempienze politiche

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Di Laura LombardoIncapace di ricevere nuovi fondi e di spendere quelli esistenti: sarebbe la politica, secondo la Filca Cisl, la causa precipitante della crisi nell’edilizia. Persi oltre 5000 posti di lavoro nel trapanese. (LL) Come la gioventù nella “kneeling youth” di George Minne, l’edilizia in Sicilia è in ginocchio. La stessa edilizia di cui proprio la Sicilia avrebbe più bisogno; e con essa, anche i turisti (giusto per citare qualcuno a caso) — che atterrati nei nostri scali, vengono subito gettati all’impietosa mercé di una wasteland di strade sconnesse, ponti traballanti e gallerie fatiscenti. Il segretario della Filca Cisl Francesco Danese rivela i dati impressionanti di questo disastro settoriale, e prima di tutto occupazionale — dal 2009 i lavoratori edili attivi nel trapanese sono passati dai 9636 ai 4259 del 2019. E quei pochi dipendenti rimasti, nelle poche imprese rimaste, competono ormai per salari tanto decadenti quanto le stesse infrastrutture. Nella provincia di Trapani, il cumulo delle retribuzioni pari a 62.504.000 euro prima della crisi finanziaria globale si è attestato quest’anno ad un magro 26.188.000 euro. Il settore che, più di tutti, fa da traino all’appeal turistico dell’isola, al suo artigianato, alla lavorazione tradizionale di ceramica e marmo, che potrebbe ritornare ad estrarre tesori dal profondo delle nostre cave di travertino, sarebbe più umiliato dalla politica che dai semplici alti-e-bassi economici. Secondo l’analisi di Danese (di concerto, a suo dire, con la categoria industriale Ance dei costruttori edili) lo stop di bandi e gare da parte delle pubbliche amministrazioni e l’abolizione, senza successiva riorganizzazione di competenze, delle Province hanno provocato un abbattimento di ore lavorate nel settore di oltre due terzi. Comuni, Aziende Sanitarie, altri enti locali non spendono più — intenti a sacrificare gli investimenti al così-detto-equilibrato pareggio di bilanciomentre scuole elementari, SP, “opere, impianti e servizi, reti stradali intercomunali, rurali e di bonifica e delle ex trazzere” un tempo competenza delle ex-province, ed oggi competenze di nessuno, diventano inaccessibili alle imprese edili siciliane, fameliche di lavoro. I progressi sindacali che negli anni hanno portato all’istituzione del contratto collettivo per i lavoratori edili (in scadenza, quello attuale, tra due anni) sembrano quasi pleonastici di fronte all’ignobile fine degli ammortizzatori sociali. Infatti, dai tempi della crisi, tutti e tre i fondi welfare per l’edilizia (cassa integrazione, mobilità e disoccupazione) sono andati estinti, prima che la ripresa economica cominciasse. Dalla fine dei fondi ordinari, si è passati ad un tempo supplementare di 52 settimane finanziato dalla Regione — e da queste 52 settimane di fondi in deroga, conclusesi nel 2016 e con la crisi ancora in atto, si è arrivati all’era attuale di un’edilizia senza lavoro né assistenza sociale. E – i sindacati aggiungono – anche senza finanziamenti. Gli unici aiuti per le imprese ad essere attualmente disponibili sarebbero quelli del “Patto per il Sud” che però pongono come condizione per essere affidati alla gestione dei comuni la realizzazione di progetti esecutivi delle opere pubbliche. “Ma, racconta il segretario della Filca Cisl, gli uffici tecnici dei comuni sono ormai vuoti di personale qualificato per la redazione di tali progetti, e così i fondi rimangono inattesi”. Fattore determinante della crisi edile, l’inadempienza politica rappresenta, tra l’altro, oltre che il danno anche la beffa se si pensa al-sempre-più-frequente fenomeno dell’overshooting, di fatto una sottrazione di denaro (ad opera di amministratori e non di evasori fiscali) dall’economia e dalla collettività.