Castelvetrano-Confisca bene a fiancheggiatore di Messina Denaro

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Un immobile dall’enorme valore: 49 vani che sul mercato ha una stima di 1 milione e 200 mila euro. Da oggi diventa di proprietà dello Stato questo edificio che si trova nella via Mazzini a Castelvetrano perché secondo gli inquirenti sarebbe riconducibile a un esponente di spicco della mafia locale. Apparterrebbe, secondo quanto sostiene il comando provinciale dei carabinieri di Trapani che ha eseguito il provvedimento di confisca, Vito Signorello (nella foto), arrestato dai carabinieri del Ros nel dicembre del 2011 e condannato successivamente per associazione mafiosa a seguito di patteggiamento. E’ ritenuto uno dei fiancheggiatori del superlatitante Matteo Messina Denaro: “L’intervento rientra a pieno titolo – dicono dal comando provinciale – nella complessiva manovra investigativa finalizzata alla ricerca del latitante”. Si tratta dell’ennesimo colpo che le forze dell’ordine assestano nei confronti di Messina Denaro, a cui da anni sono stati sottratti beni di ingente valore e fiancheggiatori di primo piano, come ad esempio l’arresto della sorella Patrizia e di altri fedelissimi. Il provvedimento di confisca completa un percorso investigativo che, dopo aver portato all’arresto di esponenti di spicco dell’organizzazione criminale, aveva contestualmente individuato un ingente patrimonio accumulato dal sodalizio, comprendente aziende olearie, attività commerciali, abitazioni, terreni e numerosi rapporti bancari. L’attività si concluse nell’ottobre del 2013 con il sequestro di beni per un valore di 38 milioni di euro nell’ambito dell’operazione “Campus Belli”. In questo ambito le indagini avevano documentato gli assetti e le attività criminali della famiglia mafiosa di Campobello di Mazara, storicamente tra le più attive del mandamento di Castelvetrano, della quale erano stati accertati la composizione organica e le dinamiche interne, con particolare riferimento alla conflittualità tra gli schieramenti riconducibili rispettivamente a Leonardo Bonafede e Francesco Luppino. Era emerso come Luppino, forte del sostegno ricevuto da Matteo Messina Denaro, avesse cercato di ampliare il proprio potere all’interno della organizzazione criminale, con l’obiettivo di contendere a Bonafede la leadership della famiglia campobellese. Le indagini avevano, inoltre, evidenziato come la divisione interna non avesse impedito alla famiglia mafiosa di gestire unitariamente le strategie criminali e lo sfruttamento delle principali attività economiche del territorio.