Ci sono libri che vanno letti. Sopratutto rispetto a quello che è stato scritto in questi ultimi anni sull’Italia e la sua storia attuale chè già essendo attuale non dovrebbe essere chiamata storia, semmai lo diventerà un giorno. Uno di questi pochi libri letti, rispetto al marasma librario indecoroso di questi ultimi anni, è “Ad alto rischio” di Mario Mori, Generale dei Carabinieri e Giovanni Fasanella, giornalista. L’ho finito da leggere da un paio di giorni e ho voluto scrivere dopo un pò volevo che si sedimentasse tutto pian piano dopo la piacevole lettura prima a volte intervallata da pause e soste che fanno ritornare alla mente le cose, proprie e di questo Paese. Cose tragiche, drammatiche e se scrive un Generale dei Carabinieri, cosa particolarmente insolita nella storia d’Italia e dell’Arma, allora il libro va letto.
Non tanto per togliere qualcosa agli altri perchè non si dovrebbe parlare male delle altre cose o degli altri per risaltare qualcosa di proprio o di altri. Ma in questo caso la situazione è particolare: non scrive qualcuno che ha tenuto il culo al caldo nelle redazioni, qualche filosofo, qualche intellettuale o qualche avvelenato per motivi personali e ideologici. Scrive e parla, con un giornalista che raccoglie, chè questo dovrebbe essere il mestiere del giornalista, raccontar fatti, cose, ascoltare e riportare, un uomo sul campo che, anche se Comandante per gran parte della sua vita per i ruoli ricoperti, ha vissuto le operazioni più brillanti, più tragiche e più pericolose degli ultimi 40 anni della storia d’Italia. Un Generale dei Carabinieri messo sotto processo insieme ad un altro dei suoi uomini migliori e diventato anche lui storia d’Italia, il Capitano Ultimo, ed altri, colui che materialmente con i suoi pochi e valorosi uomini, liberò la Sicilia dai corleonesi il 15 gennaio del 1993 arrestando Salvatore Riina considerato il Capo di Cosa Nostra occidentale. O altri ancora dell’Arma come il Capitano De Donno o ancora un altro Ufficiale, l’allora Tenente Canale.
Intanto si dice Cosa Nostra e non mafia, come specificò a suo tempo Buscetta e secondo perchè si tratta della Sicilia Occidentale, terra e situaizone ababstanza diversa da quella Orientale e interna, checchè ne dicano i soliti parolai. Scrive e parla un generale oggi in pensione che fino ad ora aveva risposto soltanto alle domande dei giudici ( “ma che Paese è questo?” dice a un certo punto Mori quando racconta delle sue vicende ) con rispetto e dignità verso lo Stato e a qualche intervista rilasciata ufficialmente.
La prima cosa che mi sovviene alla chiusura del libro letto è una frase che ogni tanto Mori ripete parlando dei suoi uomini che considero la più importante tra quelle da lui dette nel libro i: “Uomo di grande spessore e conoscenze del territorio o memoria storica”. Perchè è importante? Perchè puntualizzare questa cosa indica la realtà di ciò che è la vita di un investigatore: la conoscenza del territorio, la memoria storica, l’esperienza che significa alla fine e si tramuta nel campo in rispetto e consapevolezza che si ha a che fare con uomini e donne. Oltre che u riconoscimento al lavoro degli investigatori sembra quasi che Mori voglia dire che il patrimonio di conoscenze degli uomini di legge che operano sul campo è basilare per mettere insieme tanti tasselli realisticamente e non facendo voli pindarici seduti a casa magari prendendo il thè con i biscottini con qualche amica ammaliata dalle farneticazioni ideologiche.
La seconda cosa è che Mori tiene a precisare che è un militare. lo è sempre stato in una forma duplice come i Carabinieri sono stati nell’Unità d’Italia a partire essenzialmente dal dopoguerra: nella doppia veste di soldati e di investigatori. Questo dunque significa avere una morale interiore legata alla Cavalleria, rispetto per le Istituzioni al di là della forma di Stato, concenzione della vita personale, asservimento alle leggi dello Stato e allo stesso tempo difesa del territorio, dei cittadini, della libertà altrui.
Mori inoltre cita spesso una figura imponente nell’Arma: Carlo Alberto Dalla Chiesa che nell’Arma fu, da piemontese di nascita ed è anche interessante dire quanto Mori percepisce importante questo termine usato da una parte dei siciliani cosa che ne fa di lui un attento osservatore della cultura di un popolo lontanissima dalla sua e non solo un militare che arresta, Dalla Chiesa fu dunque prima Capitano a Corleone, poi Comandante della Legione di Palermo ( i più giovani magari non sanno che una volta quello che oggi viene chiamato Comando Provinciale una volta portava il nome romano di Legione ) e poi Prefetto dove trovò la morte, a Palermo, dopo circa 100 giorni insieme alla moglie Emanuela Setti Carraro e all’unico agente di scorta che lo seguiva, Domenico Russo. Da killer di Cosa Nostra, ovviamente come la verità giudiziaria ha stabilito. Memoria storica e persona di alto spessore, Dalla Chiesa, prorompente ed enorme per certi versi all’Interno dell’Arma, innovatore, secondo Mori e io sono d’accordo con lui, nei metodi investigativi che poi saranno quelli usati nella lotta alle Brigate Rosse e utilizzati anche in Sicilia che hanno condotto a risultati brillanti sul campo di cui gli unici e veri usufruitori sono stati i cittadini italiani. Dalla Chiesa è stato ammazzato, Mori, Ultimo e De Donno, l’altro ufficiale che ha operato per molto tempo fedelmente con Mori, sono finiti sotto processo e altri pure hanno pagato la loro devozione allo Stato, alla legge e alla democrazia. Mori ne ricorda tanti e non tutti, scusandosi, a volte perchè sono tanti i nomi da elencare e a volte perchè magari non si può. Uno su tutti, senza togliere nulla a nessuno, è il Maresciallo dei Carabinieri, Comandante la Stazione di Terrasini, Antonino Lombardo, morto a Palermo per sua mano dopo le infamie nei suoi confronti, fedele e attivo investigatore nella lotta alla mafia dalla grande memoria storica e di cui nessuno ancora risponde perchè in questo Paese ( “Ma che Paese è questo?” ) com’è giusto che la responsabilità penale sia personale in base alle leggi vigenti del Codice Penale non è forse giusto che non esista una responsabilità morale, come in tutti i Paesi del Mondo e ad ogni mondo in Italia un pò troppo di più.
Non è tanto ora il discorrere sul e del racconto del Generale che voglio concludere, brevissimamente, perchè magari qualcuno dirà: “Non ha detto tutto”. E perchè nel caso gli altri hanno forse detto tutto di contro? Intanto Mori è o no un militare e ha risposto alle domande dei giudici dello Stato sempre con coerenza ma poi che vogliono sapere di più? Ma al di là di questo oltre al racconto della storia d’Italia più tragica del dopoguerra, dalle Brigate Rosse a Cosa Nostra, con interventi anche nei confronti della ‘Ndrina e della Camorra e del terrorismo nero, internazionale e rosso, c’è una cosa che mi ha colpito, pacatezza del discorrere e puntuale a parte e coerenza: l’umanità con cui ha affrontato, lui e i suoi uomini, e altri, il mondo del terrorismo, di Cosa Nostra, della devianza. Non un semplice Carabiniere com’è nell’immaginario di molti, e anche presente nella realtà, per carità, che ti fa la contravvenzione perchè non ti funziona la freccia senza se e senza ma, ma ascoltare, capire, conoscere perchè certe persone hanno scelto, e sceglieranno purtroppo, di stare dalla parte della violenza contro lo Stato e i cittadini. Penso sia la cosa migliore che un soldato, un militare, un investigatore, possa fare specialmente se lo fa credendo fermamente in questo. Perchè un militare, come dice Ultimo in alcune sue dichiarazioni “Sei sul carro armato” riportando al proposito l’immagine del cittadino che si oppone al carro armato che fa di tutto per non passargli sopra, deve sempre tenere presente queste due cose: la legge che deve fare rispettare e l’uomo che ha davanti a cui far rispettare la legge. Non è poco per un uomo aver agito così.
Antonio Pignatiello