14 febbraio, festa degli innamorati. Tra tradizione e business

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Amore, fiori, cene, frasi da zucchero filato, cioccolato: anche quest’anno è arrivato San Valentino, la festa degli innamorati. La ricorrenza, molto diffusa in occidente, prende il nome dal Santo e martire cristiano, Valentino da Terni. La storia e le origini di questa giornata affondano le radici in epoca romana: nel mese di febbraio iniziavano le celebrazioni dei “Lupercali” la cui tradizione voleva che i sacerdoti dello stesso ordine, entrassero nella grotta, in cui la Lupa avrebbe poi allattato Romolo e Remo, per compiere sacrifici. Sempre secondo la tradizione, all’interno di un’urna, venivano inseriti i nomi di uomini e donne che, dopo essere stati estratti a sorte dalla mano di un bambino, avrebbero dovuto vivere insieme, in intimità per un anno a partire dal 15 febbraio.

Una pratica pagana che, nel tempo, iniziò a piacere sempre meno fin quando venne abolita da Papa Gelasio I che decise di dare un’accezione cristiana alla giornata e dedicarla a Valentino, vescovo di Roma e martire della Chiesa cattolica. Quest’ultimo, infatti, durante la persecuzione cristiana, rifiutò ad abiurare la propria fede e per questo venne arrestato e decapitato a Roma il 14 febbraio 273 diventando, poi, il simbolo dell’amore e degli innamorati. Ma a San Valentino, basta davvero il pensiero? Il 14 febbraio di ogni anno, migliaia di coppie nel mondo non sembrano badare a spese per prenotare il ristorante più chic (e quindi più costoso), per comprare il gioiello più altezzoso o il mazzo di rose più maestoso alla propria amata.

Da secoli, ormai, la festa nata per ragioni cristiane e comunque affettive, si è trasformata nel solito business di affari volto ad arricchire le tasche dei commercianti piuttosto che al cuore delle persone. I dati parlano chiaro: basti pensare che, solo lo scorso anno, sono stati oltre 5 milioni gli italiani che hanno festeggiato la ricorrenza fra ristoranti, agriturismi e trattorie. Un numero destinato a registrarsi anche quest’anno stando ai dati diffusi dalla Fipe, Federazione Italiana Pubblici Servizi. Sarebbe, forse, il caso di riflettere un po’ di più sull’essenzialità dei rapporti umani e meno al numero degli zeri sugli scontrini?