Cosa ha detto di nuovo la trasmissione della scorsa settimana su Raidue “linea di confine” che ha trattato le vicende della strage della casermetta di Alcamo Marina?
Praticamente nulla. La trasmissione si è imperniata per lo più su ampi brani della trasmissione “Blu Notte” di Carlo Lucarelli di alcuni anni fa.
E la novità allora dove è stata? Non si è capito proprio, perché i misteri sono rimasti tali e quali.
In pratica è stata ribadita la verità processuale venuta fuori dal processo di revisione di Reggio Calabria, ma i tanti interrogativi, i tanti quesiti, i tanti misteri, non sono stati affrontati. Nessuna novità neanche su quella sentenza, sentenza che va assolutamente rispettata, ma che si impernia soprattutto sull’affidabilità di Renato Olino ex carabiniere che venne ad Alcamo proprio per le indagini.
Una verità processuale, che va rispettata, e ripresa anche dal film “Vite da sprecare”, del regista alcamese Giovanni Calvaruso, tra l’altro patrocinato dalla Fondazione Gulotta.
Rimane però il mistero dell’attendibilità di Renato Olino così come riportato dalla stessa trasmissione, di una settimana fa, dall’avvocato Pietro Scibilia, figlio del maresciallo che venne coinvolto nelle indagini ad Alcamo e che venne poi accusato di quelle presunte torture ai danni dei 5 indagati che così confessarono: Vesco, Santangelo, Ferrantelli, Gulotta e Mandalà.
Il teorema sembra semplice: se Olino è affidabile i cinque sono innocenti. Se Olino è invece del tutto inaffidabile forse bisognerebbe fare qualche altro processo.
Un esame attento delle dichiarazioni rese da Olino, dei documenti processuali e dei riscontri oggettivi dimostra come la sua credibilità sia invece compromessa. Ecco, punto per punto, i principali elementi che ne rendono probabilmente inattendibile la versione.
Incongruenze temporali
1. Olino sostiene che le presunte torture a Giuseppe Vesco sarebbero avvenute la sera del 12 febbraio 1976 mentre Vesco aveva sostenuto di essere stato torturato la mattina del 12 febbraio alle 5 del mattino. Tale sua accusa, unitamente a quella proveniente dagli altri arrestati, era stata ritenuta infondata dal Giudice istruttore che nel 1980 che ha assolto i militari accusati delle violenze per mancanza di segni sul corpo.
2. I verbali di perquisizione a firma di Olino dimostrano che la mattina del 12 febbraio si trovava ad Alcamo, mentre nella sua ricostruzione sostiene di aver portato l’arma del delitto trovata addosso a Vesco a Palermo per la comparazione balistica. Una contraddizione grave, che indica un errore fondamentale nella localizzazione e nella cronologia degli eventi. Inoltre, lo stesso Olino afferma che una volta giunti ad Alcamo non vi fu alcun interrogatorio e che solo a Sirignano Vesco avrebbe iniziato a parlare: un’affermazione del tutto smentita dai verbali ufficiali. In particolare dalla dichiarazione dello stesso padre di Vesco, Ignazio che ha assistito alla prima confessione del figlio.
3. Il memoriale di Vesco e la testimonianza del padre
Renato Olino non fa mai menzione del memoriale redatto da Giuseppe Vesco, né mostra di conoscerlo. Tuttavia, tale documento risulta cruciale, perché smentisce l’ipotesi di una confessione estorta con la violenza. Anche il padre di Vesco, Ignazio, conferma che il figlio appariva lucido, sereno e collaborativo durante le indagini.
4. E ancora Il falso motivo del congedo.
Olino che ha affermato di essersi congedato dall’Arma a causa dello shock per il suicidio di Vesco in carcere. Ma Vesco è morto il 26 ottobre 1977, mentre Olino si è congedato, su sua richiesta, quasi un anno prima, il 1° dicembre 1976. In realtà, il motivo del congedo fu ben diverso: infatti era stato segnalato dal capitano Pignero per condotte non consentite.
5. Nessuna traccia medica o documentale delle torture denunciate
Olino ha dichiarato che Vesco sarebbe stato sottoposto a scariche elettriche ai testicoli, un elemento particolarmente suggestivo dal punto di vista mediatico. Tuttavia, nessuna delle visite mediche effettuate in carcere riporta lesioni compatibili con questa forma di violenza. Nessuna delle lettere dal carcere attribuite a Vesco (peraltro non sottoscritte con certezza) ne fa menzione. Si tratta, quindi, probabilmente di un’aggiunta successiva, priva di ogni riscontro oggettivo.
La falsità delle lettere dal carcere è inoltre dimostrata per la stessa ammissione di Vesco che al Procuratore di Trapani ebbe a riferire che aveva dato una connotazione politica al fatto dichiarandosi prigioniero politico solo perché non voleva essere dipinto come un nuovo Vinci (Il mostro di Marsala accusato nel 1971 di avere ucciso due bambine)
6. Nessun confronto all’americana
Nel 1979, i militari che presero parte alle indagini per l’eccidio di Alcamo Marina furono sottoposti a un confronto all’americana. Il maresciallo Scibilia non fu riconosciuto da Gulotta, Ferrantelli e Santangelo. Il giudice istruttore nella sentenza di non luogo a procedere, pronunciata nei confronti dei militari accusati delle violenze, scrisse che nei confronti di coloro che non erano stati riconosciuti dagli arrestati non potesse neanche avanzarsi il sospetto. Lo stesso giudice motivò che le dichiarazioni accusatorie provenienti dagli arrestati dovevano essere guardate con sospetto in quanto in un primo momento erano discordanti poi, con il passare del tempo e il susseguirsi degli interrogatori, diventavano man mano sempre più convergenti provenendo da chi aveva tutto l’interesse ad inquinare le acque.
7. Errori sentenza revisione
La sentenza di revisione contiene due errori. Il primo sulla data della morte di Vesco e sui motivi falsi che avevano indotto Olino a lasciare l’arma il 1 dicembre 1976 dieci mesi prima e non dopo la sua morte avvenuta il 26 ottobre 1977. Il secondo errore della corte di Appello di Reggio Calabria è quello sulla mancanza di firme del colonnello Russo e dei suoi uomini sugli atti di indagine. Il verbale di perquisizione di Partinico nel garage in cui sono state rinvenute le armi è stato redatto dai carabinieri alle ore 21:45. Tale verbale reca la firma tra gli altri del Ten. Col. Russo e del Maresciallo Scibilia e dimostra che lo stesso non poteva essere contemporaneamente a Sirignano nelle ore indicate da Olino.
8. Intercettazione famiglia del maresciallo Provenzano.
Da una intercettazione della figlia del maresciallo Provenzano la stessa afferma che il – papà su Scibilia ci mette la mano sul fuoco perché queste cose (atti di violenza ndr ) non li ha mai fatti anzi se c’era qualcosa si allontanava proprio …e poi il comandante non si metteva in queste cose… -.
Tale intercettazione costituisce la prova provata che quanto dichiarato da Olino, che attribuisce a Russo e Scibilia la direzione rispettivamente della prima e della seconda parte dell’interrogatorio duro, è escluso in quanto gli stessi non hanno mai partecipato ad atti violenti in tutta la loro carriera.