Processo Licata, confermati in appello 5 anni. Risarcimento in sede civile

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Cinque anni di carcere per autoriciclaggio: questa la sentenza emessa dalla Corte d’Appello di Palermo nei confronti di Michele Angelo Licata, 59 anni, ex imprenditore marsalese noto nel settore ristorazione – alberghiero. L’uomo, già condannato nel 2021 alla stessa pena e per lo stesso capo di imputazione dal Tribunale di Marsala, aveva subìto nel 2015 un maxi sequestro di beni per un valore complessivo di circa 127 milioni di euro tra alberghi, ristoranti, beni mobili e immobili, quote sociali, titoli e denaro per quasi 130 milioni di euro.

Manovre che hanno finito per coinvolgere l’intero nucleo familiare accusato di ricettazione: insieme all’ex imprenditore, infatti, vennero condannate in primo grado a 3 anni e 8 mesi la moglie, Maria Vita Abrignani e una delle tre figlie, Silvia. A tre anni e mezzo venne, invece, condannata l’altra figlia, Valentina insieme al marito, Roberto Cordaro condannato a tre anni e quattro mesi insieme alla terza figlia del “dominus” del gruppo imprenditoriale, Clara Maria.

Il procedimento in appello era scaturito da ulteriori indagini svolte nel corso dell’inchiesta condotta dalla Guardia di Finanza che portò alla luce un’evasione fiscale di diversi milioni di euro e che nel 2021 travolse l’intera famiglia di Licata: dal lavoro degli inquirenti, infatti, era emerso che l’ex imprenditore, al fine di scongiurare il pericolo di ulteriori sequestri, avesse tolto somme di denaro dai suoi conti correnti per versarli in quelli dei familiari, fino a quel momento non indagati e successivamente chiamati a rispondere per ricettazione.

A ciò si sarebbero aggiunti, secondo l’accusa, prelievi dalle casse delle loro società per essere depositati sui conti correnti personali. Unica assolta in primo grado fu la madre di Michele Licata, Maria Pia Li Mandri, per la quale il PM aveva chiesto da sei a otto anni di reclusione. Per il resto dei familiari condannati venne inoltre disposta l’interdizione dai pubblici uffici per 5 anni oltre alla condanna al risarcimento danni, da quantificare in sede civile, in favore delle sue ex società, attualmente sequestrate e in amministrazione giudiziaria oltre che  la confisca «per equivalente» per 12 milioni e 375 mila euro.