Processo Arata. Ha deposto Turano, alcuni passaggi stridono con racconto di Miccichè

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Ha ammesso di essere stato socio, circa 30 anni fa, di Vito Nicastri, imprenditore alcamese ritenuto tra i finanziatori del boss Matteo Messina Denaro, e di aver ricevuto da lui un finanziamento di 10mila euro per la campagna elettorale del 2001. L’assessore regionale alle attività produttive Mimmo Turano, concittadino di Nicastri, ha deposto al processo all’ex consulente della Lega ed ex deputato nazionale di Forza Italia, Paolo Arata, imputato di corruzione e intestazione fittizia di beni davanti al tribunale di Palermo, insieme al figlio Francesco Paolo, al dirigente regionale Alberto Tinnirello e all’imprenditore milanese Antonello Barbieri.

Il processo, celebrato davanti alla quarta sezione del tribunale di Palermo, scaturisce dall’inchiesta che portò in carcere, nel giugno del 2019, il ‘signore del vento’ Vito Nicastri, che ha patteggiato una condanna a due anni e 10mesi per corruzione e intestazione fittizia di beni, il figlio 34enne Manlio, che rispondeva degli stessi reati, e che ha patteggiato a due anni, gli Arata, padre e figlio, e alcuni funzionari regionali. Al centro del processo un giro di tangenti pagate per avere le autorizzazioni a realizzare due impianti di biometano, uno a Calatafimi e l’altro a Francoforte, nel siracusano, che Arata e il suo socio occulto Nicastri avrebbero voluto costruire. Rispondendo alle domande del pm Gianluca De Leo, il politico alcamese ha raccontato dei suoi rapporti con gli Arata. «Fui chiamato da Gianfranco Miccichè che mi disse di andare da lui all’Ars – ha raccontato – Lì trovai il figlio di Arata che mi parlò dell’impianto di biometano da realizzare a Calatafimi, io dissi che non ero interessato perché già in occasioni pubbliche, condividendo le prese di posizioni di colleghi di partito che avevano perplessità dal punto di vista ambientale, avevo detto che non avrei sostenuto la cosa». Un punto della deposizione, questo, su cui la versione di Mimmo Turano ha cozzato con quella fornita proprio dal presidente dell’Ars Gianfranco Miccichè che aveva invece raccontato che Turano gli avrebbe detto, in quell’occasione, che in quell’affare c’era gente che non gli piaceva, riferendosi evidentemente a Nicastri. “Mesi dopo incontrai Arata padre – ha detto in aula Turano – che si lamentava delle lungaggini nell’iter di approvazione dei progetti presentati e fu lui a dirmi che forse il ritardo era dovuto al fatto che Nicastri  era suo consulente. Solo allora ne parlai con Miccichè”. Turano ha quindi sostenuto di aver saputo solo dai giornali delle vicissitudini giudiziarie dell’imprenditore e dei gravi reati di cui era accusato. Su domanda del presidente del tribunale Bruno Fasciana ha specificato di riferirsi alle accuse di mafia.

L’esponente del governo Musumeci ha raccontato anche di aver detto esplicitamente ad Arata di non avere intenzione di sostenere il suo progetto. Il pm ha però contestato all’assessore alcamese il testo dell’intercettazione della conversazione proprio con il faccendiere Arata in cui il politico diceva: “Fammi verificare, se sei uno che investe, che paga i dipendenti, che rispetta l’ambiente, io non ti romperò. Tu non sei un francescano e neppure io”. “Erano frasi di circostanza”, ha risposto il teste Turano.