Partinico: ubriaco al volante evita il carcere

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Finisce sotto processo per un doppio capo di imputazione: guida in stato di ebbrezza e rifiuto a sottoporsi al test dell’etilometro. Oggi si rischia per queste accuse anche sino ad un anno di reclusione. Ed invece un partinicese, C.G. di 25 anni, riesce a farsela franca seppur dopo un calvario giudiziario durato ben 6 anni grazie ad una falla del sistema della giustizia. All’epoca in cui avvennero i fatti ancora non era stato ben definito il quadro legislativo che regolava questa materia e, puntando proprio su questo, il giovane, neopatentato, è riuscito persino ad evitare il carcere. In appello infatti è stato assolto con formula piena, poggiando proprio sull’assenza di una chiara giurisprudenza. Eppure il percorso di C.G. non è stato affatto facile per uscire “pulito” da questa storia. Infatti in primo grado era stato condannato dalla sezione distaccata alcamese del tribunale di Trapani a 4 mesi di reclusione. Tutto comincia la notte del 21 ottobre del 2007: il ragazzo stava percorrendo la statale che collega Alcamo marina a Castellammare del Golfo quando improvvisamente sbanda con l’auto che stava guidando finendo contro un muretto di contenimento. Escono tutti illesi ma intervengono i carabinieri che notano nel ragazzo uno stato di alterazione psicofisica. C.G. dà inizialmente la propria disponibilità a sottoporsi al test dell’etilometro ma il mezzo dei militari ne era sprovvisto. Così i carabinieri lo hanno invitato a seguirli all’ospedale di Trapani per effettuare il test ma a quel punto il partinicese si rifiuta. Inizia il processo al tribunale di Alcamo e il giudice lo condanna a 4 mesi di reclusione e 3 mila euro di ammenda, dando la pena più pesante tra quelle che erano previste all’epoca in cui avvenne il fatto. Infatti nel 2007 la normativa non stabiliva con precisione la pena, tanto che il legale del giovane finito sotto processo, Fabio Bosco, chiese l’applicazione del “favor rei”, vale a dire l’emissione della pena più lieve tra le tre previste. Istanza che il giudice però in primo grado non tenne neanche in considerazione. La storia si trascina alla Corte d’Appello di Palermo e qui invece i giudici si rendono conto dell’impossibilità di applicare l’arresto. “I magistrati – sostiene Bosco – si sono resi conto del vuoto normativo e che quindi andava applicato il minimo della pena che oltretutto, con la legge entrata in vigore nel 2008, è stato ulteriormente depenalizzato”.