Lite per bar Brugnano di Partinico: decade accusa di estorsione. Pena di soli due mesi

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Non si trattò di estorsione ma di “esercizio arbitrario delle proprie ragioni”. Cosi, la Terza Sezione Penale del Tribunale di Palermo ha derubricato il reato che era stato contestato nel 2015 dalla procura palermitana a Salvatore e Francesco Brugnano, imprenditori di Partinico. I due, padre e figlio, sette anni fa, erano proprietari del bar adiacente alla stazione di carburanti presente sulla statale 113, nei pressi dello svincolo autostradale di Partinico. Un’attività che i Brugnano diedero poi in gestione alla “Tiffany snc” di Vito e Antonino Termine stipulando con questi ultimi un contratto di affitto di ramo d’azienda della durata originaria di 12 anni. Tuttavia ben presto i rapporti tra locatari e affittuari si incrinarono, probabilmente perché padre e figlio vennero a conoscenza degli elevati guadagni che l’attività data in gestione ai Termini stava sviluppando.

Così proprio a questi ultimi chiesero, nel giro di poco tempo, la risoluzione anticipata del contratto e quindi la restituzione del bar.  Una indebita ingerenza quella di padre e figlio culminata in atti di violenza e minacce perpetrati anche nei confronti della moglie di Vito Termine e del figlio Antonio, entrambi aggrediti con spinte e pugni. Da questi fatti ne scaturì prima un contenzione civile con la richiesta da parte dei Termine di un maxi risarcimento danni di 500 mila euro e successivamente una richiesta in sede penale a 8 anni di reclusione per estorsione.

Tale reato, oggi,  è stato derubricato a quello minore di esercizio arbitrario delle proprie ragioni” ed è arrivata la condanna a soli 2 mesi di reclusione, pena sospesa poiché, secondo l’Autorità Giudicante, Salvatore e Francesco Brugnano si sarebbero semplicemente reimpossessati con la forza del bar che era stato affidato in gestione alla famiglia Termine.