“Kelevra”, presunti boss di Borgetto tornano liberi. Decorsi i termini cautelari

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Alcuni dei presunti boss di Borgetto tornano in libertà per “decorrenza dei termini” della custodia cautelare:  si tratta di Nicolò Salto, Giuseppe Giambrone e il figlio Francesco. I tre, che in appello erano stati condannati a pene più alte a quelle emesse nel processo ordinario, sono stati adesso scarcerati perché il giudice di appello, dopo quasi due anni, non ha depositato le motivazioni della sua decisione. L’accusa per loro era di aver fatto parte dei clan mafiosi di Borgetto e Partinico, arrestati nel 2016 nell’ambito dell’operazione “Kelevra” che vedeva coinvolti undici indagati accusati, a vario titolo, di associazione mafiosa ed estorsione aggravata, facenti parte delle famiglie Salto e Giambrone insieme agli affiliati Petruso, Frisina e Toia.

L’operazione era nata con l’intento di scoprire se il sindaco di Borgetto avesse “amicizie pericolose” con i mafiosi. Coinvolto nel vortice dell’indagine anche il giornalista e direttore di Telejato, Pino Maniaci, accusato di estorsione e successivamente assolto e difeso dagli avvocati Antonino Ingroia e Bartolomeo Parrino. Maniaci aveva denunciato le parentele di un consigliere comunale con alcuni mafiosi e agitato l’ipotesi che dietro l’elezione del sindaco di Borgetto, Gioacchino De Luca, ci fosse la mafia. I dubbi insorti riguardavano, in particolare, una visita fatta dal sindaco borgetano insieme ad alcuni esponenti del Consiglio Comunale negli Stati Uniti ove ad attenderli ci sarebbero noti esponenti mafiosi.

A seguito di intercettazioni svolte tra l’ex sindaco Davì ed il consigliere comunale Polizzi, si sarebbe scoperto, accusa poi smontata,  che Maniaci avrebbe commissionato allo stesso consigliere duemila euro per magliette con la scritta Telejato, senza pagargliele. A seguito di processo, venne  fuori l’ipotesi che tutta l’operazione Kelevra fosse stata concepita , forse, per incastrare anche Maniaci. Oggi, tre dei presunti boss coinvolti nella vicenda, Salto e i Giambrone padre e figlio, tornano “liberi come l’aria” a causa di un mero, ma inescusabile ritardo motivazionale della sentenza di appello.