Un corteo silenzioso ha attraversato ieri sera le vie del centro storico di Castellammare del Golfo, ma il messaggio era tutto fuorché muto: la pace è un atto politico, non una poesia da citare nelle cerimonie. Organizzata dalla commissione comunale Pari Opportunità con il patrocinio del Comune, la marcia ha visto una partecipazione trasversale e convinta. Non c’erano slogan urlati, ma corpi presenti, volti consapevoli, passi lenti che rivendicavano un diritto che oggi sembra diventato scomodo perfino da nominare. Dal municipio fino alla cala marina, la città ha voluto affermare che la pace non si mendica ai tavoli dei potenti, si costruisce con piccoli gesti ostinati. In un tempo che normalizza l’orrore – dai bombardamenti a Gaza alle fosse comuni in Sudan, dai missili sull’Ucraina al silenzio tombale della diplomazia – marciare insieme è un atto di resistenza civile. Nessuna delega, nessuna illusione: serve una cittadinanza vigile, capace di smascherare la narrazione tossica che riduce le guerre a “inevitabili”. Il corteo non ha portato soluzioni, ma ha posto una domanda urgente: se la pace è così difficile, perché la guerra ci sembra sempre più accettabile? Al piazzale Stenditoio, il momento conclusivo non è stato un rituale consolatorio, ma un invito a coltivare la complessità: la pace non è una generica bontà d’animo, è giustizia, è equità, è capacità di dire “no” quando invece conviene tacere. È fatica, studio, memoria. È la scelta di non girarsi dall’altra parte, anche quando la guerra riguarda “altri”. Castellammare, ieri, non ha celebrato un’idea astratta, ma ha esercitato un diritto. E insieme ha lanciato un avvertimento: il vero pericolo non è il rumore delle armi, ma l’assuefazione al loro suono. La pace non è utopia. È responsabilità, è vigilanza, è il coraggio di esporsi. Ed è già un inizio.