Non ha mai pagato il pizzo, né prima e nemmeno adesso, e non intende assolutamente farlo mai in futuro. Maria Possente, imprenditrice alcamese e presidente dell’Enoteca regionale della Sicilia Occidentale prova a fugare ogni dubbio: “Ho sempre lavorato, fin da giovanissima, nel rispetto della legalità e questo cerco sempre di trasmettere non soltanto ai miei collaboratori e dipendenti ma anche ai mei figli”. Lei, il padre Giuseppe e il fratello Antonio, imprenditori nel campo della vitivinicoltura e dell’olio, erano finiti, come parti offese, nelle circa 1.900 pagine dell’ordinanza dell’operazione antimafia ‘Hesperia’, quella che ha dato un profondo colpo agli ‘amici’ di Mateo Messina Denaro.
L’imprenditore marsalese delle botti, Mimmo Li Causi, 55 anni, assieme agli altri indagati Antonino Cuttone, Vito Gaiazzo, Vincenzo Pisciotta e Antonino Pace, avrebbero messo a segno “atti idonei e diretti in modo non equivoco a costringere i Possente a corrispondere loro una somma di denaro di 220.000 euro”. Il tentativo, come si legge nell’ordinanza sottoscritta dal Gip, Walter Turturici, non è comunque andato a buona fine ma i cinque indagati, fra i capi di accusa, hanno anche quello di tentata estorsione. “Si trattava di un vecchio debito di una precedente società di mio padre – ha spiegato Mara Possente – che aveva acquistato botti per il vino da Li Causi. Proprio per il mio senso di legalità e con grandi sacrifici sono riuscita ad onorare il debito di circa 200.000 euro”.
L’imprenditrice alcamese non nega però la visita di Li Causi che si era avvalso di alcuni ‘rinforzi’ e avrebbe detto al 55enne, in quell’occasione, di non gradire certi atteggiamenti e che non voleva avere a che fare con alcuno. Il debito per le botti è stato poi estinto ma era contenuto nelle intercettazioni nell’indagine Hesperia con gli indagati che avevano puntato gli imprenditori alcamesi come possibili vittime del racket. Maria Possente ha comunque soltanto saputo cosa la stampa ha pubblicato e non è stata finora sentita né dai carabinieri e nemmeno dalla procura.
“Era un vecchio debito – ribadisce – che abbiamo rispettato. Non so se dietro ci fosse la volontà di estorcere da parte degli indagati e se lo avessi capito mi sarei certamente rivolta ai carabinieri”. Maria Possente ha così spiegato la sua posizione, personale e imprenditoriale. L’imprenditrice ha anche chiarito quanto accaduto con l’associazione antiracket alcamese che si è posta al fianco della donna per tutelarne l’immagine e sostenerla in tutte le battaglie per la legalità e la libertà di fare impresa.