Castellammare del Golfo-Operazione “Cemento del Golfo” per 5 avviso di indagini concluse

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I pubblici ministeri della Dda di Palermo, Grassi e De Leo hanno notificato l’avviso di conclusioni delle indagini nei confronti   delle persone indagate nell’operazione “Cemento del Golfo”, che lo scorso mese di marzo avrebbe consentito di smantellare un sistema  economico-imprenditoriale riconducibile a Cosa nostra, che vede a capo il super latitante Matteo Messina Denaro. Le ordinanze di custodia cautelare in carcere scattarono nei confronti di colui il quale i carabinieri ritengono il capo della famiglia mafiosa di Castellammare, Mariano Saracino (nella foto a sinistra), 69 anni, e  per Vito Turriciano, 70 anni, Vito Badalucco, 59 anni, Martino Badalucco 35 anni e l’alcamese Vincenzo Artale (a destra), 64 anni. Sono accusati, a vario titolo, di associazione mafiosa, estorsione aggravata, danneggiamento aggravato, fittizia intestazione aggravata, frode nelle pubbliche forniture e furto. L’avviso di conclusione delle indagini precede la richiesta di rinvio a giudizio, prima della quale  gli avvocati possono presentare memorie a difesa dei loro assistiti. Le indagini dei carabinieri di Alcamo e Castellammare, fatte di intercettazioni ambientali e pedinamenti, e poi dalla collaborazione di alcuni imprenditori, sono durate quasi tre anni.   Le investigazioni scaturirono da una recrudescenza di attentati incendiari ai danni di imprenditori operanti nell’edilizia nel territorio del comune castellammarese sul finire del 2012. La susseguente attività avrebbe permesso di comprendere come i danneggiamenti ai mezzi e veicoli del settore dell’edilizia e del movimento terra si collocassero in un contesto mafioso. In particolare, le indagini dei carabinieri, dirette dal capitano Savino Capodivento,  si concentrarono su un gruppo di persone che, attraverso condotte riconducibili alle modalità operative di Cosa Nostra – scrivono i militari –  imponevano la fornitura di calcestruzzo a diversi imprenditori impegnati in lavori privati o in opere pubbliche. Sarebbe stata  dimostrata anche la volontà della famiglia mafiosa di Castellammare di favorire l’imprenditore alcamese Vincenzo Artale, responsabile di una società operante nel settore del calcestruzzo, per garantire allo stesso una posizione di forza all’interno del mercato del calcestruzzo stesso. Secondo le indagini avrebbero costretto con pressioni ed intimidazioni i committenti di lavori privati o le ditte appaltatrici a rifornirsi di cemento da Artale, personaggio noto per le sue denunce, nel 2006, contro il racket del pizzo, tanto che faceva parte dell’Associazione antiraket e antiusura di Alcamo, dalla quale venne immediatamente espulso. Oltre alle 5 misure in carcere vennero altresì notificate 6 informazioni di garanzia nei confronti di altrettanti soggetti responsabili a vario titolo di intestazione fittizia di beni e favoreggiamento personale, per tutti con l’aggravante di aver commesso il fatto al fine di agevolare l’attività di Cosa nostra.