Strage Alkamar. Gulotta e Olino, giudici di Firenze e Reggio Calabria fanno analisi diverse. Pronto appello

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Due sentenze sulla stessa terribile tragedia, l’uccisione dei carabinieri Carmine Apuzzo e Salvatore Faccetta ad Alcamo Marina nel lontano 1976, ma assolutamente diverse. La prima, quella del processo di revisione conclusosi il 13 febbraio del 2012 e che ha poi portato ad altre assoluzioni, e l’altra del 5 luglio scorso che ha respinto una richiesta di maxi-risarcimento allo Stato. Protagonista delle due sentenze Giuseppe Gulotta, uno dei condannati all’ergastolo per quell’eccidio e poi assolto con sentenza di revisione. Gli avvocati Saro Lauria e Pardo Cellini, legali dell’alcamese, poi trapiantatosi in Toscana, hanno già predisposto appello contro la sentenza di Firenze che ha respinto il risarcimento. Pronto un dossier di ben cento pagine.

Mentre la prima sentenza si è basata sulle dichiarazioni di Renato Olino, ex carabiniere inviato all’epoca ad Alcamo, che una trentina di anni dopo quella strage, quelle indagini e le torture ad alcune degli imputati, non riuscì più a tenersi dentro il rimorso e decise di raccontare la sua versione dei fatti. La corte di Reggio Calabria e quella di Firenze, ovviamente, avrebbero dovuto leggere e valutare relazioni e verbali degli inquirenti dell’epoca, a prescindere se contenenti o meno dichiarazioni di colpevolezza estorte con le violenze. Forse durante il processo di revisione si è fatto meno. La seconda sezione civile del tribunale onorario di Firenze ha infatti riportato alcuni passaggi sostanziali rilevati da quelle indagini. Gulotta, scrivono i giudici fiorentini che hanno respinto la richiesta di maxi-risarcimento “ha ammesso le sue colpe senza la tortura dell’acqua e sale ma soltanto dopo un paio di ceffoni e una tiratina di capelli”. Inoltre, si legge sempre nella sentenza emessa dal giudice civile, Susanna Zanda, alcune dichiarazioni di Gulotta volte a procurarsi alibi vennero smentite. Un suo amico disse che quella sera non videro assieme alcun film mentre alcuni lavoratori colleghi dell’imputato, poi condannato, dissero che Gulotta non si fosse visto sul luogo di lavoro. Incertezze, dubbi e situazioni da approfondire che però non impedirono al tribunale di Reggio Calabria di emettere la revisione del processo ai danni dell’uomo e la susseguente assoluzione.

Valutando i verbali dell’epoca le due corti non hanno pesato alla stessa maniera la figura di Renato Olino e la veridicità assoluta delle sue deposizioni. Infatti, nella sentenza dello scorso luglio, quello che ha respinto il maxi-risarcimento da 66 milioni 542mila euro, verrebbe fori un aspetto contrastante. L’ex carabiniere, infatti, contemporaneamente si sarebbe trovato a Sirignano ad assistere alla ‘tortura della cassetta’ nei confronti di Vesco e alla caserma di Alcamo dove avrebbe sentito le urla degli altri indagati che venivano percossi dagli inquirenti. Passaggi contenuti nei verbali e che probabilmente, in occasione di ogni giudizio, si dovrebbero leggere e valutare. Giuseppe Gulotta è e comunque resta un uomo libero e nessuno vuole mettere in discussione la sua estraneità ai fatti come dice la sentenza di revisione e il relativo risarcimento per ingiusta detenzione. Di certo, però, in alcuni passaggi delle sentenze si è operato forse con una certa superficialità. D’altro canto le indagini per la strage della casermetta di Alcamo Marina, a tutt’oggi dopo quasi mezzo secolo avvolta nel mistero, senza mandanti e senza esecutori materiali, hanno da sempre lasciato a desiderare con evidenze che mai sono state prese in considerazione. La Corte di Firenze ha provato a mettere assieme le carte, senza avere in mano nuove indagini. Questo poteva fare e questo ha fatto. Pare che rimettere in moto gli investigatori, non interessi proprio a nessuno.