“Sorella Sanità”, dopo la condanna congelato un milione di euro a Fabio Damiani

0
108

Ammontano ad oltre un milione di euro i beni congelati a Fabio Damiani, ex manager dell’Asp di Trapani, condannato a sei anni e mezzo di reclusione per corruzione nella sanità siciliana e al pagamento di un milione e 88 mila euro.

Beni, mobili e immobili, conti correnti e depositi bancari sono stati bloccati, su richiesta dell’Asp di Palermo, dal tribunale civile nei confronti dell’ex responsabile della centrale unica di committenza per gli appalti della Regione Siciliana accusato di aver pilotato, dietro pagamento di tangenti, alcune gare bandite dall’azienda sanitaria provinciale palermitana.

L’ASP aveva presentato la richiesta di sequestro conservativo temendo “la perdita delle garanzie patrimoniali per l’adempimento della obbligazione di pagamento e quindi del diritto di credito vantato nei confronti di Damiani poiché quest’ultimo non disponeva di alcun reddito da lavoro”.

L’ex manager, dopo aver guidato la centrale di committenza degli appalti, era stato nominato commissario straordinario dell’Azienda Sanitaria Provinciale di Trapani a fine 2018. Dirigente avvocato dell’Asp di Palermo dal 2003, aveva ricoperto il ruolo di responsabile del settore Economico finanziario e Provveditorato della stessa azienda.

L’inchiesta, nota alla cronaca giudiziaria col nome di “Sorella sanità”, coordinata dal procuratore aggiunto Sergio Demontis in sinergia con la Guardia di Finanza di Palermo, aveva riguardato una serie di appalti truccati negli ospedali e nelle aziende sanitarie siciliane: gare con importi complessivi per oltre 600 milioni di euro, aggiustate in parte anche da Antonio Candela, ex commissario straordinario e direttore generale dell’Asp 6 di Palermo e condannato per corruzione a 6 anni e 8 mesi di reclusione.

“Sorella” era il soprannome che gli indagati, intercettati dai finanzieri, avevano attribuito all’ex manager: oltre a Damiani e Candela, infatti, vennero condannati altre cinque soggetti tra i quali il “faccendiere” di Damiani, Salvatore Manganaro.

Le indagini condussero alla scoperta “di un centro di potere che avrebbe asservito la funzione pubblica agli interessi privati in modo da lucrare indebiti vantaggi economici nel settore della sanità pubblica”. Il processo, svolto con rito abbreviato, aveva riconosciuto a Manganaro e a Damiani l’attenuante di aver collaborato con gli inquirenti.