Mafia-“Cemento del Golfo”, castellammarese condannato a 12 anni

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Dodici anni di reclusione per i reati di associazione mafiosa ed estorsione aggravata. Questa la pena inflitta col rito abbreviato, svoltosi al tribunale di Trapani, al castellammarese Vito Turriciano, uno dei cinque imputati finiti sotto processo a seguito dell’operazione dei carabinieri “Cemento del Golfo”. L’operazione del marzo dello scorso anno, secondo i militari, avrebbe consentito “di smantellare un sistema economico-imprenditoriale riconducibile a cosa nostra.  Le ordinanze di custodia cautelare in carcere scattarono nei confronti di colui il quale i carabinieri della compagnia di Alcamo, ritengono il capo della famiglia mafiosa di Castellammare, Mariano Saracino e   per Vito Turriciano, già condannato,   Vito e Martino Badalucco, tutti e quattro reclusi e per l’alcamese Vincenzo Artale, che si trova agli arresti domiciliari. Per questi quattro imputati il processo è già iniziato col rito ordinario. Sono accusati, a vario titolo, di associazione mafiosa, estorsione aggravata, danneggiamento aggravato, fittizia intestazione aggravata, frode nelle pubbliche forniture e furto. Vincenzo Artale, già componente dell’associazione antiracket e antiusura di Alcamo è accusato di estorsione con l’aggravante del metodo mafioso. Le indagini dei carabinieri di Alcamo e Castellammare, fatte di intercettazioni ambientali e pedinamenti, e poi dalla collaborazione di alcuni imprenditori, sono durate quasi tre anni.   Le investigazioni iniziarono subito dopo la recrudescenza di attentati incendiari ai danni di imprenditori operanti nell’edilizia nel territorio del comune castellammarese sul finire del 2012. L’ attività investigativa avrebbe permesso ai carabinieri  di comprendere come i danneggiamenti ai mezzi e veicoli del settore dell’edilizia e del movimento terra si collocassero in un contesto mafioso legato alla famiglia di Castellammare, facente parte del mandamento di Alcamo, che vedrebbe  al vertice Mariano Saracino già condannato per associazione mafiosa. In particolare, le indagini dei carabinieri,   si concentrarono “su un gruppo di persone che, attraverso condotte riconducibili alle modalità operative di Cosa Nostra – scrivono i militari –  imponevano la fornitura di calcestruzzo a diversi imprenditori impegnati in lavori privati o in opere pubbliche”.  Oltre alle 5 misure in carcere vennero altresì notificate 6 informazioni di garanzia nei confronti di altrettanti soggetti responsabili, a vario titolo, di intestazione fittizia di beni e favoreggiamento personale, per tutti con l’aggravante di aver commesso il fatto al fine di agevolare l’attività di Cosa nostra. L’avvocato Saro Lauria, difensore di Vito Turriciano afferma “che non appena conosceremo le motivazione della sentenza di condanna, sarà presentato appello”.