Il Pm aveva chiesto soltanto condanne ma Tribunale di Marsala ha invece assolto con formula piena, ‘perché il fatto non sussiste’ cinque persone accusate di bancarotta fraudolenta documentale. Si tratta di amministratori, in varie epoche, della fallita ‘Mediterranea spa’, società che operava a Mazara del Vallo nel settore degli alberghi di lusso. Erano finiti sotto processo i fratelli castelvetranesi Giovanni e Carmelo Savalle, di 59 e 57 anni, commercialisti e imprenditori nel settore alberghiero, i mazaresi Domenico Pisciotta, di 55 anni e Gaspare Morello, di 64, Alberto Giovanni Agosta, ottantenne residente nel milanese.
Secondo l’accusa, i cinque avrebbero tenuto i libri e le scritture contabili in modo da non rendere possibile la ricostruzione del patrimonio o del movimento di affari, non rappresentando così “in modo veritiero e corretto la condizione di impotenza patrimoniale e finanziaria in cui la società versava”. In questa maniera sarebbe stata nascosto lo stato economico disastroso della ‘Mediterranea spa’ che divenne irreversibile dal 2008 tant’è che il Tribunale di Marsala ne dichiarò il fallimento nel dicembre 2012. Per Giovanni Savalle, presidente del cda fino al 15 dicembre 2009, e per Carmelo Savalle, prima amministratore delegato e poi amministratore unico della stessa società, il Pm aveva chiesto 4 anni e mezzo di carcere. Per Morello, Pisciotta e Agosta, invece, 3 anni e mezzo.
A difendere i fratelli Savalle è stato l’avvocato Antonino Carmicio mentre Morello, Pisciotta e Agosta sono stati difesi dall’avvocato Paolo Paladino. Carmelo Savalle è comunque attualmente in carcere in quanto, nel luglio 2023, la Cassazione rese definitiva la sua condanna a sei anni per bancarotta fraudolenta. A Giovanni Savalle, invece, nell’estate 2018 venne sequestrato un patrimonio valutato in circa 63 milioni di euro perché gli inquirenti ritennero che tutta quella ricchezza (22 complessi aziendali, 28 rapporti bancari, 47 fabbricati, 8 autoveicoli e l’ex hotel di lusso “Kempinski”, fosse stata accumulata grazie alla vicinanza con Matteo Messina Denaro. Accuse, poi, cadute quando la sezione misure di prevenzione del Tribunale di Trapani affermò che “gli elementi probatori forniti dal Pm non dimostrassero una diretta partecipazione di cosa nostra”.