Fallimento pizzeria a S. Vito Lo Capo, falsi crediti e nuove illecite società. Arresti a Catania e Trapani

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Un fallimento da circa un milione di euro e 500.000 euro di falsi crediti per dimostrare illecitamente che la società fosse economicamente salda. Le indagini della Guardai di Finanza sono scattate proprio dal fallimento del 2019 di quel locale, ‘Pizzangò’ che operava in via principe Tommaso, in pieno centro, a san Vito Lo Capo. Da lì la nascita e il fallimento di altre tre società. Questa mattina i finanzieri del Comando Provinciale di Trapani hanno arrestato marito, moglie e figlio, i primi due a Catania e il terzo nel capoluogo trapanese, indagati a vario titolo per associazione a delinquere, bancarotta fraudolenta, auto riciclaggio e sottrazione fraudolenta al pagamento delle imposte.

Con lo stesso provvedimento il G.I.P. ha disposto il sequestro delle quote sociali e dell’intero complesso aziendale della holding unifamiliare, già dichiarata fallita dal Tribunale di Trapani, avente un valore di oltre 500 mila euro e il sequestro preventivo della somma di 100 mila euro nei confronti di uno degli indagati. Le indagini, condotte dai militari del Gruppo di Trapani, traggono origine dall’approfondimento investigativo di diverse vicende societarie connotate da condotte fraudolente che hanno visto i tre arrestati attuare un disegno criminoso finalizzato a causare volontariamente il dissesto finanziario della prima società, dichiarata fallita dal Tribunale di Trapani nel settembre 2019, distraendone però i beni e l’intero complesso aziendale che continuavano ad essere utilizzati alle altre società che via via aprivano. L’intento era quello continuare l’attività lavorativa e lasciare i creditori, tra i quali lo Stato, senza alcuna possibilità di rivalsa. Le tre “aziende satelliti”, della prima, quella che gestiva Pizzangò, erano caratterizzate da una breve vita aziendale e rappresentate dai componenti della stessa famiglia, con una sola finalità, aggirare l’Erario ed i creditor. Il tutto con una esposizione debitoria superiore al milione di euro. Le indagini hanno poi consentito di accertare, per tutte le società coinvolte, la mancanza della pur minima scrittura contabile, poiché distrutta o nascosta, rendendo più complesse le attività di ricostruzione da parte della Guardia di Finanza. Il quadro probatorio ha comunque permesso di riconoscere a carico dei tre arrestati il riutilizzo dell’insieme di beni e servizi, facenti parte dell’impresa fallita, configurando così l’ipotesi dell’auto riciclaggio.