Divieto di esercitare attività imprenditoriali e di ricoprire incarichi direttivi nelle imprese. Sei le misure a carico di due società che gestivano il rinomato villaggio turistico ‘Torre Macauda’ di Sciacca. Tutti sono indagati, a vario titolo, di associazione per delinquere, bancarotta fraudolenta, riciclaggio, autoriciclaggio, corruzione e tentata truffa aggravata per il conseguimento di erogazioni pubbliche. Fra gli indagati anche il trapanese Fabrizio Morabito, consulente legale di Unicredit e il palermitano Maurizio Lupo. I provvedimenti hanno poi raggiunto l’imprenditore veneziano Francesco Donà Delle Rose e i foggiani Luigi Vantaggiato, Francesco Corvelli e Anna Maria Lo Muzio. Il provvedimento è stato disposto dal GIP dopo le indagini del nucleo economico-finanziario della Guardia di Finanza di Palermo e delle Fiamme Gialle di Sciacca. Con il medesimo provvedimento sono stati sequestrati beni, in via preventiva, per un ammontare di oltre 30 milioni di euro: disponibilità finanziarie e di 3 società operanti nel settore immobiliare, due delle quali proprietarie proprio della struttura turistico-alberghiera “Torre Macauda”. Per l’esecuzione dei provvedimenti sono stati impiegati 50 militari della Guardia di Finanza, in forza ai Reparti di Palermo e Agrigento.
Le indagini, condotte dagli specialisti del GICO del colonnello Gianluca Angelini, hanno permesso di ipotizzare complesse e strutturate operazioni finanziarie finalizzate alla distrazione di ingenti disponibilità di spettanza delle società che nel tempo avevano detenuto la proprietà del complesso ricettivo, sino a causarne il dissesto e il successivo fallimento. Gli indagati avrebbero poi attuato un articolato schema di riciclaggio, che sarebbe stato concordato tra gli imprenditori coinvolti e dirigenti e consulenti di Unicredit, per riacquisire Torre Macauda che, nel frattempo, era stata messa in vendita all’asta, e che di fatto era stata gestita da una famiglia mafiosa vicina a Totò Riina. In concreto, una prima fase dell’articolato disegno criminoso, relativa all’acquisto di un credito (di circa 28 milioni di euro) vantato dalla stessa banca nei confronti del gruppo imprenditoriale proprietario del complesso turistico, a fronte del pagamento di soli 4 milioni di euro, utilizzando i fondi sottratti alle società fallite. Una seconda fase, sarebbe relativa al “riacquisto” della struttura ricettiva, in sede di asta esecutiva, a fronte di un’offerta di circa 8 milioni di euro che il soggetto giuridico aggiudicatario, sempre riconducibile allo stesso gruppo imprenditoriale, non avrebbe interamente pagato allo stesso istituto bancario. In quest’ultimo caso, sarebbe stato determinante il ruolo di importanti dirigenti bancari che avrebbero falsamente attestato l’avvenuto pagamento con tanto di quietanza.