Antonio Candela ex manager dell’Asp di Palermo, era stato condannato a sette anni e quattro mesi. La sentenza è stata annullata senza rinvio, dunque viene assolto in maniera definitiva con la formula perché il fatto non sussiste, dall’accusa di avere indotto, sotto minaccia, Fabio Damiani, ex dirigente Asp di Trapani, ad assecondare i suoi desiderata. Il reato nel corso del processo è stato derubricato da concussione in induzione indebita a dare o promettere utilità. Annullata ma con rinvio la sentenza nella parte della corruzione. Deve essere celebrato un nuovo processo di appello. Candela è difeso dagli avvocati Giuseppe Seminara e Salvino Mondello. L’imprenditore Giuseppe Taibbi (difeso dagli avvocato Ninni e Giuseppe Reina) era stato condannato a sei anni e 4 mesi. La sua posizione segue quella di Candela. In parte assolto, in parte annullamento con rinvio. Fabio Damiani, ex manager dell’Asp di Trapani e responsabile della Centrale unica di committenza degli appalti per la Regione siciliana (difeso dall’avvocato Paolo Grillo) era stato condannato a sei anni e sei mesi per corruzione. Una parte della sentenza è stata annullata e il processo deve iniziare da capo perché nelle sentenze di primo e secondo grado il fatto è stato descritto in maniera diversa da come era stato citato nel decreto che dispone il giudizio. Alcune ipotesi di corruzione, però, diventano definitive. Per la pena potrebbe essere rivista al ribasso. Quattro anni e 4 mesi era stata in appello la condanna per l’imprenditore agrigentino Salvatore Manganaro, difeso dagli avvocati Marco Lo Giudice e Walter De Agostino. Per Manganaro vale lo stesso ragionamento fatto per Damiani. Colpevole per alcune ipotesi, nuovo processo per altre.
L’unico assolto nel corso dei processi – non c’era ricorso della Procura in Cassazione – per non avere commesso il fatto è stato Angelo Montisanti, responsabile operativo per la Sicilia della società Siram, difeso dagli avvocati Marcello Montalbano e Claudio Livecchi. Nel maggio 2020 il blitz dei finanzieri del Nucleo di polizia economico-finanziara denominato “Sorella sanità”. “Sorella”, infatti, era il soprannome con cui gli indagati nascondevano l’identità di Fabio Damiani, allora potente manager.