Eccidio Dalla Chiesa. 39 anni ma la figura del generale trasmette legalità

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A trentanove anni dalla morte, per mano della mafia del generale Carlo Alberto Dalla Chiesa, ucciso il 3 settembre 1982 in via Isidoro Carini a Palermo, in un attentato nel quale persero la vita anche la moglie Emanuela Setti Carraro e l’agente di scorta Domenico Russo, la Sicilia ricorda una delle figure simbolo della lotta alla criminalità organizzata, il generale dei carabinieri spedito in Sicilia e divenuto martire dopo circa tre mesi.

Un 1982 pieno di omicidi di mafia. E il 3 settembre toccò proprio a Dalla Chiesa, raggiunto all’uscita della Prefettura da un commando mafioso che, aprì il fuoco senza remore, con un Kalashnikov, verso il generale e sua moglie, non risparmiando nemmeno l’agente che li seguiva a bordo di un’Alfetta.

Cento giorni appena di mandato per Dalla Chiesa che mai ricevette i mezzi richiesti per agire come avrebbe voluto, prima di essere ucciso dalla criminalità. All’indomani dell’eccidio, nel luogo dell’assassinio, apparve la scritta “Qui è morta la speranza dei palermitani onesti”. Il cardinale Salvatore Pappalardo nel giorno dei funerali usò frasi molto forti e di assoluta condanna nei confronti delle istituzioni parlando di una Palermo lasciata sola e in mano alla mafia. Trentanove anni dopo il sentimento di legalità trasuda ancora dalla figura di Carlo Alberto Dalla Chiesa.

Alle 9.30, in via Isidoro Carini, luogo del tragico evento, sono state deposte le corone d’alloro da parte delle Autorità civili e militari. “A trentanove anni dal tragico agguato del 3 settembre 1982 a Palermo, rendo commosso omaggio al ricordo del Prefetto Carlo Alberto Dalla Chiesa, della signora Emanuela Setti Carraro e dell’agente Domenico Russo, vittime della ferocia mafiosa.

La loro barbara uccisione – ha detto il presidente della repubblica, Sergio Mattarella – rappresentò uno dei momenti più gravi dell’attacco della criminalità organizzata alle istituzioni e agli uomini che le impersonavano, ma, allo stesso tempo, finì per accentuare ancor di più un solco incolmabile – ha concluso il capo dello Stato – fra la città ferita e quella mafia che continuava a volerne determinare i destini con l’intimidazione e la morte”.