Una nuova fase di mobilitazione; un grido di aiuto, per chiedere alla politica regionale e nazionale di intervenire concretamente sui problemi atavici del territorio: la Cgil Sicilia sceglie la linea dura dinanzi alle criticità irrisolte, puntando il dito contro il presunto immobilismo del governo sia regionale che nazionale. Il sindacato cigiellino ha presentato il documento ‘Cambiamo il futuro della Sicilia’, in cui vengono messe in campo una serie di proposte per intervenire sui numerosi fronti aperti: l’obiettivo è definire di un nuovo ruolo della Sicilia nel Mediterraneo, guardando a politiche per una transizione ecologica socialmente sostenibile, tutela del suolo, un nuovo modello energetico e industriale, un’agricoltura di qualità. Le manifestazioni della Cgil si articoleranno in 10 appuntamenti a partire dal 16 ottobre e fino al 26 novembre.
Cinque i temi su cui il sindacato ritiene si debba intervenire con maggiore urgenza: il segretario regionale Alfio Mannino sottolinea come “il decreto sugli enti locali che si sta discutendo all’Ars non è frutto della volontà di rafforzare i Comuni, ma di scelte politiche: gli unici risultati che produrrà sono un assessore in più, stipendi più elevati per i sindaci e un divario sulla rappresentanza di genere ancora più significativo. Sulla sanità non abbiamo visto nulla se non la scelta dei manager in pubblica piazza, sulla base di accordi tra partiti. Sulla siccità il livello della governance è insufficiente, la politica delle acque fallimentare: serve un’unica governance regionale che apra ai privati, ma con un forte controllo pubblico degli enti. Il tema della fuga dei giovani è drammatico: chi va via non vuole più tornare, così si rischia una desertificazione sociale senza precedenti con differenze significative tra grandi centri urbani e aree interne. Sulle infrastrutture sappiamo che il ponte sullo Stretto irrealizzabile: l’unico risultato prodotto è la sottrazione di un sacco di risorse a Sicilia e Calabria, mentre il potenziamento delle ferrovie è minimo”.
La principale critica alla politica si lega, secondo Mannino, al fatto che “rimane chiusa su se stessa e non sfrutta il proprio ruolo per cambiare le condizioni di vita di lavoratori e lavoratrici, ma utilizza la spesa pubblica per autoalimentarsi.