Nicola Clemenza, noto anche come ‘l’imprenditore che ha detto no al pizzo’, è tra gli indagati dell’operazione antimafia ‘Alba’, condotta dai Carabinieri del ROS e coordinata dalla Direzione Distrettuale Antimafia di Palermo. Clemenza, imprenditore del settore oleario e presidente dell’associazione antiracket “Libero Futuro” della provincia di Trapani, è accusato di peculato e di agevolazione dell’associazione mafiosa. Secondo gli inquirenti, avrebbe avuto contatti e rapporti frequenti con uomini ritenuti appartenenti o vicini a cosa nostra. A inchiodarlo, secondo la Procura di Trapani, sarebbe un episodio emblematico: la “sparizione” di una crivellatrice per la lavorazione delle olive, sequestrata e poi confiscata in un procedimento per misure di prevenzione contro Antonino Moceri, noto esponente di Cosa nostra.
Clemenza, in qualità di coadiutore dell’amministratore giudiziario incaricato di gestire i beni sequestrati, avrebbe sottratto la macchina agricola dal patrimonio dello Stato per affidarla gratuitamente a Gaspare D’Angelo, imprenditore ritenuto vicino ad ambienti mafiosi. Un prestito senza autorizzazione, senza contratto, senza vincoli. Quando Clemenza si sarebbe accorto che la crivellatrice era sparita dalla disponibilità di D’Angelo, avrebbe tentato di correre ai ripari chiedendo aiuto a Giuseppe La Rocca e a un altro soggetto identificato come “Zibella”, nel tentativo di reperire un macchinario simile per sostituire quello smarrito o, peggio, per occultare del tutto l’accaduto. Un’azione che, per gli inquirenti, configura il reato di peculato e rafforza l’accusa di agevolazione mafiosa. Alla magistratura ora il compito di fare piena luce sui fatti e stabilire se quelle che finora sono accuse possano tradursi in responsabilità penali. Intanto, l’indagine scuote il mondo dell’antiracket, sollevando interrogativi sul confine tra impegno civile e ambiguità operative.