La Corte d’Appello di Palermo ha confermato le condanne per corruzione nell’ambito dell’inchiesta “Sorella Sanità” su appalti truccati nella sanità siciliana. Le motivazioni della sentenza descrivono un quadro desolante di malaffare e arricchimento illecito ai danni dei fondi pubblici. Un sistema articolato e complesso che vedeva protagonisti dirigenti, imprenditori e faccendieri intenti a pilotare appalti milionari a favore di aziende compiacenti. Le motivazioni della sentenza d’appello sottolineano il ruolo chiave di alti dirigenti delle ASP, le Aziende Sanitarie Provinciali, responsabili della gestione degli appalti multimilionari. I manager, piuttosto che tutelare l’interesse della sanità pubblica, avrebbero utilizzato le proprie funzioni per scopi personali, manipolando le procedure di gara e anche ricattandosi a vicenda.
Condanne quindi confermate in secondo grado per tutti gli imputati e in alcuni casi anche aumentate. Antonio Candela, ex direttore generale dell’ASP di Palermo e responsabile della cabina di regia regionale per il contrasto al Covid in Sicilia, è stato condannato a 7 anni e 4 mesi. Fabio Damiani, ex manager dell’ASP di Trapani a sei anni e mezzo. Giuseppe Taibbi, faccendiere, ha subito una pena di 6 anni e 4 mesi mentre all’imprenditore agrigentino Salvatore Manganaro sono stati confermati 4 anni e 4 mesi. Damiani e Manganaro, dopo aver confessato i loro reati, hanno ottenuto le attenuanti, rivelando agli inquirenti dettagli sugli accordi illeciti, le mazzette e i metodi utilizzati per favorire determinate aziende. Le confessioni di Damiani e Manganaro, unitamente alle intercettazioni telefoniche e ai messaggi acquisiti dagli inquirenti, hanno fornito un quadro completo del vasto sistema di corruzione. L’ex direttore dell’ASP di Trapani, nell’aprile dello scorso anno, subì anche un sequestro di beni di oltre un milione di euro.