Omicidio sacerdote di Ummari, si celebra decennale. Movente ancora misterioso

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Domani 26 febbraio, prima domenica di Quaresima, la chiesa ricorda il decennale della morte don Michele Di Stefano, parroco di Fulgatore e Ummari, ucciso a sangue freddo in canonica mentre dormiva. Alle 11.00, nella chiesa della frazione trapanese di Ummari il vescovo Pietro Maria Fragnelli presiederà l’eucaristia. Un momento particolare per ricordare Don Michele, nato a Calatafimi, e poi per decenni all’opera nelle parrocchie di Trapani e delle sue frazioni. “E’ una forma anche questa di martirio”.

Così aveva cominciato l’omelia l’amministratore apostolico della diocesi, monsignor Alessandro Plotti, in occasione dei funerali dell’anziano sacerdote calatafimese celebrati nella chiesa del Santissimo Crocifisso alla presenza di autorità civili, militari, sindaci e tutto il clero della diocesi di Trapani. La Chiesa trapanese all’epoca rimase turbata e ferita da quell’assurdo omicidio.  Il sacerdote, che il giorno dell’omicidio il 26 febbraio del 2013, aveva 81 anni, venne trovato morto nella canonica della chiesa di Ummari, ucciso a colpi di bastonate in testa. Alcune testimonianze e le immagini della videosorveglianza portarono gli investigatori ad individuare rapidamente il colpevole, Antonino Incandela, oggi 43ennei, che poi confessò il barbaro omicidio del parroco di Ummari. Il trapanese è stato quindi condannato a 30 anni di carcere per i reati di omicidio e rapina.

La sentenza è arrivata dopo pochi mesi, al termine di un processo lampo. È rimasto misterioso il movente. Ancora non del tutto chiaro il movente. Incandela, arrestato dai carabinieri poco dopo l’omicidio, dapprima ha raccontato agli inquirenti che nutriva rancore nei confronti del sacerdote per il contenuto di alcune sue omelie e poi sostenuto, quando era adolescente, di essere stato oggetto di attenzioni morbose da parte del prete che per 41 anni è stato parroco di Fulgatore. Proprio per fare chiarezza sul movente e su latri aspetti la comunità di Ummari aveva auspicato che il processo avesse avuto un dibattimento pubblico in Corte di assise, piuttosto che celebrarsi con il rito abbreviato. La pista comunque maggiormente seguita dagli investigatori è stata quella di una rapina finita male per il tentativo del sacerdote, che si sarebbe svegliato durante l’intromissione in canonica di Incandela, di mettere in fuga l’uomo.