‘Mafia rurale’ sempre molto attiva a Calatafimi. Intercettazioni e una denuncia inguaiano il sindaco

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a sinistra un momento del blitz, a destra il sindaco Accardo

Ci sarebbe anche una denuncia di un abitante di zona Sasi, oltre ad alcune intercettazioni, ad avere inguaiato il primo cittadino di Calatafimi, Antonino Accardo, accusato di corruzione elettorale nell’ambito dell’operazione antimafia ‘Ruina’. L’intercettazione,
del primo giugno 2019, è fra Giuseppe Gennaro e Salvatore Barone, due degli arrestati, che esprimevano apprezzamento per l’assetto politico determinato dalle recenti elezioni e ciò, in particolare, – come da dialogo intercettato – per la presenza di “Nino”, ritenuto “a portata di mano”. Nino sarebbe l’attuale sindaco.

Dall’operazione di Sco e Squadre Mobili della polizia, diretti dalla DDA di palermo, viene fuori che la ‘mafia rurale’ contraddistingue ancora l’attività di Cosa Nostra fra Calatafimi e Vita. Una mafia che continua quindi ad avere grande operatività nel controllo delle attività economiche e nell’intimidazione sul territorio, anche attraverso atti incendiari. E’ stato nuovamente appurato il ruolo di personaggi che erano già stati coinvolti, alcuni anche condannati, in altre operazioni anti-mafia: la ‘Crimiso’ messa a segno dalla polizia nel 2012 (toccò anche Alcamo e il capo-mafia dell’epoca Nino Bonura) e la più recente ‘Cutrara’ portata avanti a Castellammare del Golfo dai carabinieri.

Le 350 pagine, corredate da foto e dialoghi fra indagati intercettati, raggiungono anche l’operazione ‘Phimes’, quella che portò i carabinieri di Alcamo a far luce su una lobby che gestiva, in regime di monopolio, i parcheggi dell’area archeologica di Segesta. La
famiglia mafiosa calatafimese, infatti, avrebbe ordinato l’incendio della Fiat 500 dell’imprenditore Antonino Craparotta, le cui denunce avevano portato all’arresto del suo ex socio Francesco Isca, titolare della società che gestiva l’area di parcheggio, e all’intera operazione.

In ‘Ruina’ spuntano soprattutto calatafimesi e vitesi ma anche un
castellammarese, un agrigentino e un marsalese fra gli arrestati:
Giuseppe Aceste, Ludovico Chiapponello, Giuseppe Fanara, Giuseppe Gennaro, Nicola Pidone ritenuto il capo della famiglia mafiosa locale, Gaetano Placenza e Domenico Simone, tutti di Calatafimi. Due cugini di Vita, Rosario e Stefano Leo, il castellammarese Antonino Sabella, il marsalese Leonardo Urso, titolare di un camping a Petrosino, e l’imprenditore agrigentino Andrea Ingraldo.

Arrestato pure Salvatore Barone, 63 anni, sindaco di Calatafimi per meno di un anno fra ’92 e ’93, in quota all’area canininana della DC, e quindi a lungo presidente della Sau prima, l’ex azienda di trasporti pubblici a Trapani, poi della ATM in cui, fino al 2019, è stato direttore generale e tecnico. Per 22 anni, dal 1998 ad oggi, ha anche guidato come presidente la cantina sociale calatafimese ‘Kaggera’. Dal 2012 al 2014, durante la sindacatura di Nicolò Ferrara terminata dopo l’arresto del primo cittadino per corruzione, falso e turbativa d’asta.