Il collezionista di carte: il cinema di Paul Schrader nell’epoca dei Millenials

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Qual è il nesso tra un militare e un giocatore d’azzardo professionista? No, non è la trama di un racconto inedito di Fedor Dostoevskij, né di qualche altro autore appartenente all’ottocento russo, anche se trattandosi di una pellicola firmata da Paul Schrader, sicuramente un legame tra il mondo letterario e filosofico è tracciabile, senza grandi difficoltà.  Per uno degli autori più rappresentativi della cosiddetta New Hollywood, questi ultimi anni hanno rappresentato il suo gradito ritorno sulle scene. Dopo First Reformed – La creazione a rischio, fortunata opera, giustamente incensato dalla critica, è arrivato un altro film che potrebbe diventare di culto nel tempo, così come lo erano stati nei decenni precedenti pellicole come Lo spacciatore e Auto Focus, entrambe supportate dalla presenza di Willem Dafoe nel cast.

Dafoe è presente anche stavolta, pur avendo una parte in teoria più marginale, visto che il grosso del film viene risolto grazie alle abilità interpretative di un terzetto composto da Oscar Isaac (che abbiamo appena ritrovato in Dune di Villeneuve) Tye Sheridan e Tiffany Haddish. Per chi avesse già confidenza con il cinema di Paul Schrader, Il collezionista di carte potrebbe sembrare un po’ scontato e ripetitivo, almeno in alcuni passaggi che possiamo vedere specialmente durante la prima parte del film. Invece per uno degli sceneggiatori e autori più acclamati durante gli anni settanta e ottanta del secolo scorso, questa è una nuova occasione per mostrare una scrittura asciutta, un’idea di cinema un po’ austera, ma che in epoca di pandemia suona come un grido d’allarme per l’intera umanità, sollevando dilemmi morali che non si possono certo facilmente recuperare in un cinecomics Marvel e Dc Comics. Almeno in teoria, dato che proprio quel Joker di Todd Phillips, sembra essere stata la molla che ha fatto tornare l’autore di Taxi Driver (di cui Schrader aveva firmato la sceneggiatura) alle sue ambientazioni più congeniali, dopo la partentesi dell’acclamato First Reformed, uscito proprio nello stesso anno del film di Phillips.

È innegabile come l’impronta del cinema di Schrader e di Martin Scorsese, sia alla base del film tratto dal fumetto di Bob Kane. Come afferma giustamente Slavoj Zizek nel suo saggio Una lettura perversa per il cinema d’autore, la popolarità di Joker risiede nella sua dimensione meta-funzionale: l’opera fornisce la genesi oscura della storia di Batman, un percorso dove bisogna rimanere invisibili affinché il mito funzioni e faccia il suo dovere. Anche Paul Schrader e Scorsese, durante la prima parte della loro carriera avevano mostrato le stesse abilità, raccontando di personaggi emarginati e borderline come il Travis di Taxi Driver o il Rupert di King of Comedy. In questa occasione, nonostante non vi sia una collaborazione artistica tra questi due autori (Scorsese figura come produttore esecutivo) c’è dietro quell’idea di cinema che resta impressa, per la scrittura, per il formalismo e la durezza di certe tematiche. I vecchi autori sono ancora capaci di mostrare con rigore e cura per i dettagli uno spaccato di vita forse un po’ legato ai decenni passati, su un’America lacerata e irrisolta.

L’espediente narrativo del gioco (con alcune intriganti citazioni cinefile e meta cinematografiche) è funzionale per dare vita a un’opera che sembra davvero emulare un romanzo russo di fine ottocento. Non è tanto il tema del gioco in sé, sia esso il blackjack con cui il film si apre, oppure il poker con le WSOP, né tantomeno la spiegazione di come oggi per fare soldi sia necessario aprire le porte al gioco online. Naturalmente la sceneggiatura di Paul Schrader è capace di flirtare anche con i film dedicati al mondo del gioco e del poker in particolare, ma non è quello il vero piano di lettura, per un cinema rigoroso e morale, come quello di Paul Schrader è sempre stato.

Eppure sono questi gli autori che hanno influenzato i registi più di moda oggi, che sanno come muovere le platee e ottenere successo con idee che negli anni passati erano state promosse proprio da quest’idea nuova, ma al contempo classica di cineasti come Scorsese, Coppola e via dicendo. Del resto anche Scorsese ha realizzato degli ottimi remake e almeno un paio di sequel come ad esempio Il colore dei soldi, sequel dello Spaccone interpretato da un giovane Tom Cruise e da un maturo, ma non superato, Paul Newman. Nelle corde di questi autori c’è la sapienza narrativa di analizzare e riflettere sul quotidiano e sulla vita reale. Il collezionista di carte, pur non facendo troppi sconti, riesce bene a raccontare una storia credibile ambientata nel presente. Non era certo scontato per un autore come Paul Schrader.