Confisca definitiva al ‘Re del calcestruzzo’ a Calatafimi. Sottratti 12 milioni di beni

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Beni, per un ammontare complessivo di oltre 12 milioni di euro, sono stati definitivamente confiscati, al ‘Re del calcestruzzo’, l’imprenditore vitese di 63 anni, Francesco Isca. La DIA ha infatti eseguito il decreto di confisca di beni, emesso dal Tribunale di Trapani al termine del procedimento di prevenzione scaturito dalla proposta avanzata dal Direttore della direzione investigativa antimafia. Nei confronti di Isca è stata anche disposta la sorveglianza speciale per 3 anni e 6 mesi. Secondo la ricostruzione eseguita dal Tribunale, sulla base delle indagini portate avanti dalla DIA di Trapani,  la pericolosità sociale dell’imprenditore vitese emergerebbe dal legame di quest’ultimo con il capo della famiglia mafiosa del territorio, Salvatore Crimi. Risulterebbe, infatti, che Francesco Isca avesse ottenuto sia le risorse finanziarie per avviare ed alimentare le proprie aziende che la “copertura” mafiosa per espandersi sul mercato, imponendosi così nei lucrosi affari legati alla realizzazione di grandi opere pubbliche ai danni delle imprese concorrenti. Nel provvedimento di confisca eseguito viene descritta, finanche, la partecipazione del ‘Re del calcestruzzo’ in prima persona a numerosi episodi estorsivi (le cosiddette “messe a posto”), ai danni di imprenditori avversari. La confisca definitiva di beni ha interessato 4 società, di cui tre operanti nel settore edile ed una che gestisce l’intera area parcheggio e servizi a disposizione del Parco Archeologico di Segesta, 16 rapporti bancari, 132 beni immobili e terreni nonché 24 automezzi per un valore complessivo di oltre 12 milioni di euro. Il sequestro di tali beni, adesso confiscati, venne eseguito nell’ottobre del 2021. Francesco Isca nel febbraio del 2020 era finito ai domiciliari perché coinvolto nell’operazione Phimes messa a segno dai carabinieri della compagnia di Alcamo. Indagando sull’imprenditore gli investigatori avevano scoperto i legami con il boss di Vita. Le indagini riguardarono anche la realizzazione e la gestione del parcheggio a disposizione del parco archeologico di Segesta e dal quale partivano le navette per raggiungere il sito. Nell’inchiesta finirono anche politici, ex sindaci e ufficiali dei vigili urbani.