Castellammare del Golfo-Lavori porto, fallimento società pilotato da ex vicesindaco di Alcamo

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Il fallimento della società “Nettuno” è stato pianificato. Lo ha detto un finanziere che ha indagato attorno ai lavori del porto di Castellammare del Golfo da cui è scaturita l’operazione nel maggio scorso “Dirty affairs” che ha portato a 6 arresti, e tra questi l’ex vicesindaco di Alcamo Pasquale Perricone. L’organo inquirente, che ha seguito e sviluppato tutta l’indagine, è stato ascoltato nel corso dell’ultima udienza ed ha oltretutto sostenuto che a pianificare tutto sarebbe stato proprio Perricone che però di fatto non aveva alcun titolo o carica all’interno della stessa società. La “Nettuno”, secondo la ricostruzione fatta proprio dalle fiamme gialle, sarebbe stata costituita in seguito ad una sorta di fusione di tre imprese che si erano aggiudicate l’appalto per la riqualificazione del porto castellammarese . Il ruolo della “Nettuno” era quello di intrattenere i rapporti anche con le società fornitici, e tra queste figurava la Cea a cui sarebbero state regolarmente fatturate le forniture sino al 2008, poi questo flusso di denaro si sarebbe interrotto provocandone il fallimento. Dalle indagini emerse che guarda casa Cea e Nettuno avevano lo stesso amministratore ma che, secondo i finanzieri, erano di fatto nelle mani del socio occulto Perricone. L’inchiesta, diretta dalla Procura di Trapani, avrebbe svelato in primis la natura “fraudolenta” di quella bancarotta che avrebbe provocato una distrazione di somme per circa 4 milioni di euro. Successivamente sarebbe emersa la figura proprio di Pasquale Perricone, quale amministratore occulto della società fallita, così come anche della “Cea”. Perricone, pur non figurando ufficialmente nella compagine di alcuna società, sarebbe stato, secondo la Procura, “regista di quella scellerata operazione imprenditoriale, voluta e pianificata sin dall’inizio con il preciso scopo di appropriarsi e disperdere in mille rivoli non tracciabili le ingenti risorse di denaro pubblico affluite nelle casse della Cea e destinate alla realizzazione dell’opera pubblica”. Le indagini hanno messo in luce uno spaccato particolarmente allarmante: sarebbero infatti emerse, non solo le logiche ed i soggetti che in concreto avrebbero organizzato e pilotato il lucroso “affare” dei lavori nel porto di Castellammare, ma anche l’esistenza nella realtà alcamese di un gruppo ristretto di persone che nel settore imprenditoriale avrebbe operato ed opererebbe in modo spregiudicato ed in totale violazione della legge, nel tentativo di accaparrarsi appalti e finanziamenti comunitari. Lo stesso Perricone, già in passato era stato additato da alcuni collaboratori di giustizia come contiguo alla locale famiglia mafiosa dei Melodia di Alcamo. E per un determinato periodo, questi sembrerebbe essere stato persino “uomo di riferimento” dei Melodia in campo imprenditoriale ed all’interno dell’Amministrazione comunale di Alcamo. Tra i reati contestati a Perricone anche quello di aver lucrato sui fondi stanziati per la “formazione professionale” mediante la creazione di una fitta rete di società (tutte intestate a prestanomi ma di fatto a lui riconducibili) responsabili di aver simulato l’organizzazione di numerosi corsi professionali “fantasma” al duplice fine di ottenere illecitamente ingenti finanziamenti pubblici e, allo stesso tempo, assegnare posti di lavoro in cambio di favori o altre utilità.