Castellammare del Golfo, fallimento società per lavori al porto: ascoltati testi al processo

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Entra nel vivo il processo che vede imputati l’ex vicesindaco di Alcamo Pasquale Perricone, la cugina Maria Lucia Perricone, Marianna Cottone, Mario Giardina ed Emanuele Asta, il cosiddetto “comitato d’affari”, così definito dagli inquirenti, che avrebbe allacciato tra Alcamo e Castellammare del Golfo una serie di rapporti e interessi economici tra la formazione professionale, un istituto bancario e gli appalti. In particolare l’udienza di ieri si è concentrata sui famosi lavori al porto di Castellammare del Golfo, oramai bloccati da lungo tempo in seguito all’inchiesta che avrebbe fatto emergere come il faraonico appalto sia stato fiutato da ditte in odor di mafia e con in più l’ipotesi di utilizzo di cemento depotenziato. Ad essere stati ascoltati due rappresentanti del “Coveco”, un consorzio veneto capogruppo di un’Ati che si aggiudicò l’appalto per i lavori di messa in sicurezza e ampliamento del porto castellammarese, Franco Morbiolo e Mauro Gnech, quest’ultimo direttore tecnico del consorzio veneto. Ad interrogarli il pm titolare dell’inchiesta, Rossana Penna: i due hanno parlato dei rapporti tra la stessa impresa e le altre che facevano parte dell’Ati aggiudicataria dell’appalto, vale a dire la Comesi/Tao-mar e Cogem, insieme alle quali nel 2007 fu costituita la Nettuno arl, che si sarebbe occupata dell’esecuzione dei lavori. “Le loro dichiarazioni hanno delineato un quadro a favore dei nostri clienti” i commenti di alcuni dei legali impegnati nella difesa degli imputati. Tutto ruota attorno al presunto fallimento della “Nettuno” che, secondo l’accusa, sarebbe stato pilotato distraendo quindi i fondi della stessa società. Questo è uno dei perni dell’operazione “Dirty affairs” scattata nel maggio del 2016. A panificare tutto, secondo la guardia di finanza che condusse l’inchiesta, sarebbe stato proprio Perricone che però di fatto non aveva alcun titolo o carica all’interno della stessa società. La “Nettuno”, secondo la ricostruzione fatta proprio dalle fiamme gialle, sarebbe stata costituita in seguito ad una sorta di fusione di tre imprese che si erano aggiudicate l’appalto per la riqualificazione del porto castellammarese . Il ruolo della “Nettuno” era quello di intrattenere i rapporti anche con le società fornitici, e tra queste figurava la Cea a cui sarebbero state regolarmente fatturate le forniture sino al 2008, poi questo flusso di denaro si sarebbe interrotto provocandone il fallimento. Dalle indagini emerse che guarda caso Cea e Nettuno avevano lo stesso amministratore ma che, secondo i finanzieri, erano di fatto nelle mani del socio occulto Perricone. L’inchiesta, diretta dalla Procura di Trapani, avrebbe svelato in primis la natura “fraudolenta” di quella bancarotta che avrebbe provocato una distrazione di somme per circa 4 milioni di euro. Successivamente sarebbe emersa la figura proprio di Pasquale Perricone, quale presunto amministratore occulto della società fallita, così come anche della “Cea”. Perricone, pur non figurando ufficialmente nella compagine di alcuna società, sarebbe stato, secondo la Procura, “regista di quella scellerata operazione imprenditoriale, voluta e pianificata sin dall’inizio con il preciso scopo di appropriarsi e disperdere in mille rivoli non tracciabili le ingenti risorse di denaro pubblico affluite nelle casse della Cea e destinate alla realizzazione dell’opera pubblica”.