Castellammare del Golfo, Comune contro D’Alì: parte civile al processo per mafia

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Il Comune di Castellammare del Golfo si costituisce parte civile contro il senatore Antonio D’Alì (nella foto). La giunta guidata dal sindaco Nicola Coppola ha infatti dato incarico all’avvocato Ernesto Leone di seguire il processo finito in Corte d’Appello dopo la serie di vicissitudini che hanno riguardato proprio il caso del parlamentare, oggi presidente della Commissione sull’Ambiente del Senato, imputato per concorso esterno in associazione mafiosa a seguito di lunghe e complesse indagini svolte dagli inquirenti, anche su disposizioni del Gip che non ha accolto una prima richiesta di archiviazione. Il giudice per le udienze preliminari di Palermo ha assolto D’Alì dall’accusa di concorso in associazione mafiosa mentre sono state dichiarate prescritte le contestazioni relative ai periodi precedenti al 1994. Il senatore berlusconiano era accusato di avere avuto per anni rapporti con le cosche trapanesi e di avere ricevuto il sostegno elettorale dei boss. Secondo l’accusa, avrebbe anche pilotato appalti pubblici, facendoli assegnare a imprese in odor di mafia. La Procura chiese l’archiviazione dell’indagine, ma il gip Antonella Consiglio ordinò nuovi approfondimenti al termine dei quali i pm chiesero il rinvio a giudizio del senatore. I magistrati avevano chiesto la condanna di D’Alì a 7 anni e 4 mesi. Il gup però ha dichiarato estinte per prescrizione le accuse relative ai fatti precedenti al ’94 e assolto il senatore per quelle successive con la formula “perché il fatto non sussiste”. A questa sentenza si sono appellati i pubblici ministeri dell’accusa e adesso la prossima udienza è fissata per il 18 marzo. 2Per me non c’è nessuna ombra – si è sempre difeso il senatore -. La prescrizione, come si sa, precede la valutazione nel merito”. A seguito di questa infinita querelle giudiziaria lo stesso parlamentare sostenne la necessità che ci fosse una riforma della giustizia, sentendosi vittima del sistema. Una vicenda processuale in cui sono emersi i contatti con la famiglia mafiosa dei Messina Denaro, i “padrini” Ciccio e Matteo, anche da latitanti. La prescrizione riguarda la vendita fittizia di un terreno di proprietà di D’Alì ai Messina Denaro tramite il prestanome, poi pentito, Francesco Geraci. Vendita che sarebbe servita per favorire Cosa nostra nel riciclare 300 milioni delle vecchie lire. Il resto delle accuse, gli appalti pilotati, le ingerenze per fare trasferire funzionari statali scomodi e il presunto rapporto con Cosa nostra trapanese per il giudice non sono stati sufficientemente provati. Già il Comune castellammarese si era costituito in giudizio in primo grado ed oggi conferma questa linea: “Al fine di ottenere con la condanna degli imputati – si legge nel provvedimento – il risarcimento dei danni subiti a seguito della commissione dei reati”.