Assolto il Senatore Antonio D’Alì

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    di Antonio Pignatiello

     

    Il Senatore Antonio D’Alì è stato assolto al processo che lo vedeva imputato di concorso esterno in associazione mafiosa. E’ stato assolto perchè il fatto non sussiste dal 1994 in poi e fino al 1994, che lo vedeva sotto inchiesta per una presunta compravendita di un terreno nel Belice che sarebbe servito a far circolare denaro di Cosa Nostra dei Corleonesi di cui secondo i giudici si sarebbe trovata traccia nei passaggi bancari della Banca Sicula. Ma i giudici di Palermo non hanno che potuto nel caso applicare la prescrizione dell’eventuale reato. Per il resto il fatto non sussiste.

     

     

    E’ l’ennesimo processo che si basa su dichiarazioni e che si risolve o con la richiesta d’archiviazione o con l’assoluzione perchè il fatto non sussiste dopo che la condanna è stata espressa mediaticamente. Il primo processo all’allora Capitano Sergio De Caprio che prese Totò Riina sconfiggendo i Corleonesi con i Ros, i suoi Carabinieri del Crimor e di Mori e i Servizi che finì con la richiesta di archiviazione degli stessi giudici inquirenti. Il succesivo processo al Generale Mori e al Capitano, oggi Colonnello, De Donno, è finito con l’assoluzione perchè il fatto non sussiste. Poi il processo Andreotti. Magari sono colpevoli, magari no, magari sono collusi, magari no ma resta il fatto che ci sono assoluzioni su assoluzioni. Non è escluso che anche l’ultimo processo, quello considerato la madre di tutti i Papelli della presunta o vera trattativa Stato-Mafia finirà così.

     

    A D’Alì, scagionato dunque dal Gup del Tribunale di Palermo, Giovanni Francolini, è gli stata riconosciuta in parte la prescrizione per i fatti avvenuti fino al 10 gennaio 1994 e per il resto è stato assolto. Da più parti ormai in Italia, al di là delle spese del denaro pubblico e del tempo non impiegato a cercare latitanti e reprimere reati e arestare colpevoli, non se ne può più di processi imbastiti sulla stampa essenzialmente e poi nele aule giudiziarie con giornalisti, giornaliste, giudici, inquirenti e altri che poi si candidano, per cose dette o sentite al bar o presunte sentite e viste o dichiarazioni che alla fine non hanno riscontri giudiziari.

    Il fatto non sussiste e non serve dire che mancano le prove o che è la vecchia formula eventualmente dell’assoluzione per insufficienza di prove. E’ stato assolto e basta come altri sono stati condannati e basta.

    Resta il fatto però che ora su D’Alì, colpevole o meno, e su tutti gli altri inquisiti mediaticamente e giudiziaramente e poi assolti, restano ombre anche se resta l’ultima parola sempre ad un Tribunale che deciderà alla fine, perchè poi tutto si decide in tribunale e non sui giornali magari per carriere politiche speculari o inchieste ideologiche perchè piaccia o no in questo Paese troppa gente che accusa qualcuno alla fine si è candidato o ha fatto carriera profesisonale, creato gruppi e associazioni macelatamente politicizzati.

    Alla fine restano centinaia di migliaia di fogli di carta scritta di imputazioni su sentito dire, magari anche prove possibili e da valutare, riscontrare, decifrare, consustanziare ma che spesso hanno avuto recentemente negli ultimi vent’anni una precisa e comune matrice ideologica e politica. Non si comprende come non esistano mai imputazioni su altre parti politiche quando il paese sta dimostrando che lo sfacelo è stato causato da tutti.

    Anche l’ultima testimonianza al processo D’Alì di Don Ninni Treppiedi, che Il Santo Padre ha deposto da sacerdote, non è servita a far condannare, se mai doveva essere condannato e perchè, il senatore Antonio D’Alì. Così come in altri luoghi piccole questioni da bar e discussioni da piazza finiscono in aule inquisitorie dei tribunali, pompate da trasmissioni e servizi giornalistici tanto che alla fine anche i difensori di D’Alì hanno portato articoli stampa, cioè dichiarazioni e null’altro, come difesa.

    Ma un giudice e un tribunale non sono un’assemblea universitaria, una piazza di paese, un drappello di gente che discute facendo passare per verità giudiziaria ciò che la vox populi.