Alcamo-L’associazione Antiracket dedicata a Gaspare Stellino, il commerciante abbandonato da tutti

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Sarà l’immobile dell’associazione Antiracket e antiusura di Alcamo ad essere intitolato a Gaspare Stellino (nella foto), il commerciante alcamese morto nel 1997 e definito vittima della mafia. Lo ha stabilito il sindaco Domenico Surdi che quindi recepisce la mozione approvata in consiglio comunale nei mesi scorsi in cui per l’appunto si impegnava l’amministrazione a intitolare un bene confiscato al concittadino che morì suicida nel 1997 perché, secondo la ricostruzione all’epoca dei fatti, si sentì solo e abbandonato dalle istituzioni dopo avere denunciato i suoi estortori. Con proprio decreto il primo cittadino fa sua la proposta degli uffici intitolando a Stellino il bene confiscato di via XI Febbraio, dove per l’appunto opera l’associazione Antiracket: dunque una sorta di doppio riconoscimento simbolico per l’esercente.  “E’ stato uno delle tante vittime di quel racket che è sempre stato un ostacolo allo sviluppo e alla crescita economica e culturale della nostra terra – si legge nel decreto emanato dal primo cittadino -. E’ stato soprattutto un cittadino onesto, un commerciante conosciuto e stimato da tutta la città per la professionalità e gentilezza”. Stellino era titolare di una torrefazione ad Alcamo e salì alla ribalta per avere accusato i suoi estortori, ed in particolare la potente e sanguinaria famiglia mafiosa dei Melodia. L’esercente era stato tra coloro che avevano contributo nel 1996 a far scattare l’operazione antimafia “Cadice” che aveva portato all’arresto di una ventina di persone accusate di far parte di Cosa nostra e di avere imposto a tappeto il pizzo al tessuto economico alcamese. Una collaborazione con gli inquirenti che all’epoca dei fatti era quasi impensabile quando gli operatori economici pagavano in silenzio senza che si muovesse foglia. E come spesso accadeva in quella Sicilia degli anni ’90 imbrattata di sangue nelle strade Stellino finì quasi per rimanere isolato, non solo dai colleghi commercianti ma anche dalla politica e dalle associazioni di categoria. Troppo rischioso anche per loro rimanere vicini a quello che all’epoca veniva definito “uno sbirro infame”. La mattina in cui l’esercente doveva recarsi negli uffici della Dia per confermare le sue accuse agli estortori la fece finita: andò nella sua campagna di contrada Bosco Falconeria e si impiccò. Un gesto che provocò in città molta indignazione ma nessuna rivolta da parte dei commercianti alcamesi che non si dichiararono nemmeno parte civile al processo. Da oggi un pezzo della città che lo ripudiò porta proprio il suo nome.