”Il ferro di cavallo”, l’alcamese Romano Davare racconta la storia di don Mimì

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Una storia intensa e drammatica di un alcamese costretto negli anni venti ad emigrare in America. Uno spaccato della Sicilia terra di contraddizioni i cui colori forti dell’isola sono la metafora del carattere che non si arrende di fronte ad alcuna avversità. Sangue. Sudore. Sacrifici. Quello di migliaia di emigrati che intraprendevano su traballanti piroscafi la via per arrivare in America, terra dove le capacità individuali vengono premiate ma anche di grandi pregiudizi razzisti.

Sono queste alcune riflessioni contenute nel romanzo “Il ferro di cavallo”, Europa edizioni,  di Giacomo Romano Davare, alcamese che vive a Morbegno, provincia di Sondrio. Capitano di lungo corso, dirigente scolastico ha al suo attivo numerose e interessanti pubblicazioni. Ha vinto diversi premi letterari anche come regista ed attore. Nel libro racconta la storia Domenico Campo, chiamato affettuosamente tra i compaesani di Alcamo Don Mimì che negli anni Venti migrò negli Stati Uniti per cercare fortuna.

Lui, un modesto fabbro ferraio, in quelle terre lontane e mitizzate non era stato abbagliato dal sogno americano, ma insieme al suo amico Gaspare Cannone era stato vittima del pregiudizio e dell’ostilità verso chi nutriva simpatie socialiste. Erano tempi difficili. Sacco e Vanzetti furono uccisi dagli americani, pieni di pregiudizi ancora radicati come dimostrano le cronache di omicidi perpetrati da sceriffi dal grilletto facile. L’esperienza americana ha segnato nel profondo il carattere di Don Mimì che ora di fronte ai suoi due figli, qualche anno dopo la fine della seconda guerra mondiale, ha il compito di educarli e di spiegare loro la differenza che passa tra il bene e il male.

Il ferro di cavallo, simbolo per eccellenza di un mestiere che dà il titolo al romanzo, è una storia che restituisce al lettore tutti i colori e le contraddizioni della Sicilia, una terra ideale per vivere e raccontare sentimenti profondi ed eterni. Mimì Campo e Gaspare Cannone, quest’ultimo prima di emigrare lavorò fianco a fianco con Gabriele D’Annunzio e Benito Mussolini, che scrisse una lettera al presidente degli Sati Uniti per farlo uscire di prigione. Salvatore Cannone rifiutò e perseguì per tutta la vita gli ideali di libertà e giustizia. Il ferro di cavallo, 303 pagine, che confermano la vena letteraria e verista di Giacomo Romano Davare.