“Uno spettacolo da bomba atomica”. Venne definito così il terremoto che colpì la valle del Belice nel gennaio del 1968. La prima forte scossa venne avvertita alle 13:28 del 14 gennaio e causò gravi danni a Montevago, Gibellina, Salaparuta e Poggioreale. A quella susseguirono altre scosse, percepite fino a Palermo, Trapani e Sciacca, come quella delle 14:15 e delle 16:48. Quest’ultima provocò crolli a Gibellina, Menfi, Montevago, Partanna, Poggioreale, Salaparuta, Salemi, Santa Margherita di Belice, Santa Ninfa e Vita. E proprio la terza scossa portò il comandante dei carabinieri di Palermo, il colonnello Carlo Alberto Dalla Chiesa, a consigliare agli abitanti di dormire, durante la notte, all’aperto o in auto. Durante la nottata arrivò poi la scossa più violenta, registrata alle ore 3:01 che causò gli effetti più devastanti. A questa, poi, seguirono altre 16 scosse fra il panico generale della popolazione che viveva in tre diverse province: Trapani, Agrigento e Palermo. Le scosse vennero percepite in maniera notevole anche ad Alcamo e nell’hinterland. Un evento sismico violento, difficile da dimenticare, che rase al suolo diverse cittadine della valle del Belice. Un terremoto difficile da dimenticare sia per i soccorsi poco coordinati e per gli interventi frammentati ma anche per una ricostruzione che mai è stata completata. Più di duecento le vittime e tantissimi sfollati che poi emigrarono o andarono a vivere, per decenni, nelle baraccopoli. Sono adesso trascorsi 57 anni e ancora molto c’è da fare per tutto il territorio belicino colpito da quella terribile tragedia. Qualcosa di positivo potrebbe arrivare dalla proclamazione di Gibellina a Capitale dell’Arte Contemporanea 2026 e da un piano di sviluppo della Valle del Belice di cui si è parlato qualche giorno fa a Santa Ninfa alla presenza di deputati regionali, europei ed ex ministri.