Trapani, l’ex vescovo: “Dalla chiesa trattato da criminale”

0
567

“Il Vaticano ha sentenziato la mia condanna dipingendomi come un essere immorale da tenere alla larga, mi ha rottamato come pastore indegno, mi ha classificato mafioso, truffaldino e inaffidabile, mi ha trattato peggio di un delinquente, condannato all’inazione come un minus habens, un incapace”. Comincia così il lungo sfogo dell’ex Vescovo di Trapani, Francesco Miccichè, dimessosi dall’incarico il 16 maggio del 2012 dopo pressioni arrivate dal Vaticano riguardo al caso dell’anch’esso ex arciprete di Alcamo, Ninni Treppiedi, che accusò l’alto prelato di una serie di appropriazioni di fondi e beni della Curia trapanese. Miccichè ha messo tutto nero su bianco in un memoriale di oltre 100 pagine e pubblicato in esclusiva dal settimanale “L’Espresso”. L’ex vescovo sostiene di avere chiesto più volte di essere ricevuto dal Papa ma avrebbe trovato un muro di gomma. Da oltre tre anni, come ricostruisce la rivista, la Curia di Trapani è l’epicentro di una serie di inchieste giudiziarie che ruotano attorno alla gestione dei fondi e dei beni ecclesiastici. Ora che la Procura di Trapani, guidata da Marcello Viola, si avvia a chiudere le indagini, resta l’interrogativo di quella rimozione di Monsignor Miccichè dalla Diocesi. Perché il vescovo, secondo la ricostruzione dei magistrati, è considerato, almeno sino ad ora, “parte lesa” in quei procedimenti giudiziari. Miccichè è convinto di pagare un conto per avere denunciato più volte le logge massoniche trapanesi: “La massoneria – scrive nel memoriale – ha messo radici profonde nella nostra città, condizionandone la vita e lo sviluppo”. Il primo “colpo” Miccichè lo ha ricevuto nel 2009 quando un esposto anonimo, il primo di una lunga serie, venne recapitato alla Procura nazionale antimafia, ai vertici del vaticano. In quel documento si accusa Miccichè di avere al suo fianco come “segretario vescovile” un esponente di una famiglia della mafia rurale di Alcamo. Al contrario oggi nel memoriale Miccichè sostiene di avere subito pressioni dalla mafia: “Anch’io da subito arrivato in Diocesi fui avvicinato da persone di questo genere che mi chiesero con fare perentorio di interessarmi in loro favore presso la Procura di Trapani che aveva sequestrato i loro beni, reputandoli prestanome di potenti mafiosi di Alcamo. Il mio diniego fu secco e l’atteggiamento e le parole degli interessati suonarono come una minaccia”. Il colpo di grazia nel febbraio del 2011 quando la Diocesi di Trapani finisce al centro di uno scandalo finanziario. Si ipotizza un buco milionario nei conti della Curia. Sotto la lente delle Fiamme gialle finisce anche la gestione di due fondazioni della curia siciliana, la Auxilium e la Campanile, già fuse nel 2007. Alla fine, nell’inchiesta della Procura di Trapani risulteranno 14 indagati con ipotesi di reato che vanno da diffamazione, calunnia e falso, a truffa, appropriazione e riciclaggio. Treppiedi avrebbe aperto conti correnti allo Ior: da semplice sacerdote non li avrebbe potuti tenere. L’ex arciprete di Alcamo, dopo la sospensione a divinis, sporge denuncia contro il vescovo Miccichè, accusato di avere svuotato i conti della curia. Da qui la richiesta di dimissioni formulata nei confronti del vescovo trapanese.