Alcamo-Omicidio Coraci, fissato il processo in appello

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“Un omicidio compiuto con premeditazione con l’esclusione delle aggravanti per futili motivi”, come scrisse nella motivazioni della sentenza il gup del tribunale di Trapani. Un omicidio maturato negli ambienti dello spaccio di droga ad Alcamo che turbò l’opinione pubblica per l’efferatezza con il quale venne commesso dove perse la vita Enrico Coraci (NELLA FOTO), figlio di Nino  uno tra i più noi commercianti di abbigliamento, da anni impegnato come responsabile della Confcommercio a tutela e crescita del settore.  Per l’omicidio di Enrico Coraci, avvenuto il 21 novembre di due anni fa, sono stati condannati all’ergastolo i fratelli Francesco e Vincenzo Gatto. I difensori dei due fratelli presentarono appello ed ora è stata fissata l’udienza del nuovo processo che sarà celebrato il prossimo nove aprile davanti alla Corte d’assise d’appello di Palermo, sezione seconda. Enrico Coraci,  34enne di Alcamo fu ucciso con un colpo di fucile sparato a bruciapelo in via Ruisi, nel quartiere popolare “Villaggio Regionale” di Alcamo. I due fratelli sono assistiti dagli avvocati  Carmelo Carrara e Michele Magaddino. Nella sentenza del giudice Bonsignore è stato previsto per i due condannati, oltre alle pene accessorie, anche il pagamento di una provvisionale di 400 mila euro come risarcimento per i familiari di Coraci – i genitori e le due sorelle – che si sono costituiti parte civile nel processo che si è svolto a Trapani con il rito abbreviato. E anche in appello si costituiranno parte civile. Sono assistiti dagli avvocati Antonino Vallone, Sebastiano Dara e Bruno Vivona. Per quanto ricostruito dai carabinieri, l’omicidio è maturato per un regolamento di conti legato agli stupefacenti. Secondo i difensori dei due fratelli Gatto, invece, la violenta discussione è nata per futili motivi davanti ad una panineria di piazza della Repubblica, che venne chiusa dai carabinieri per la mancanza di alcune autorizzazioni. Con l’ergastolo per entrambi gli imputati venne confermata la condanna chiesta del pubblico ministero Rossana Penna che, in un primo momento aveva sollecitato trent’anni di reclusione per ciascuno dei due fratelli Gatto, ma poi, al termine dell’arringa finale, aveva riformulato la sua richiesta chiedendo la pena massima, che venne accolta dal Gup.